Sulmona, il supercarcere della disperazione

Un suicidio e tre tentativi in dieci giorni, centinaia di agenti assenti: la Uil chiede l’esercito

SULMONA. Tra detenuti stipati nelle celle e scarsa assistenza sanitaria: eccolo il supercarcere maledetto di via Lamaccio. Qui ogni due giorni e mezzo si sfiora la tragedia. Un suicidio, Tammaro Amato e tre tentativi di togliersi la vita in 10 giorni. Ieri l’ennesimo episodio, stavolta con un record: due tentativi di suicidio in pochi giorni.

Lo stesso giovane, che 10 giorni fa tentò di darsi fuoco con il fornellino elettrico, ieri ci ha riprovato con i lacci delle scarpe da tennis. Se li è stretti intorno al collo e ha tentato di strangolarsi. Gli agenti di custodia lo hanno trovato cianotico e sono riusciti a salvarlo in extremis. Trasportato in infermeria, il giovane è stato rianimato grazie all’intervento dei medici del 118 dell’ospedale di Sulmona.

LA SEZIONE INTERNATI. La sezione «maledetta» è quella degli internati, dove i detenuti, spesso anche boss di camorra e ’ndrangheta sono sottoposti alla misura alternativa della casa di lavoro.

Sono persone anche con problemi psicologici — uno psichiatra per 160 reclusi — che hanno già pagato il loro conto con la giustizia, però non vengono rimessi in libertà perché il giudice di sorveglianza li reputa socialmente pericolosi. Affinché possano essere reinseriti nella società hanno bisogno di un periodo di transizione, per imparare un lavoro prima di uscire. In questa sezione, però, mancano proprio le opportunità di lavoro.

LE CELLE. Oggi nell’area internati sono ospitati 200 detenuti rispetto ai 75 previsti. Ogni cella di 9 metri quadrati dovrebbe ospitare un solo detenuto. Invece, è stata trasformata in una cella a tre posti. I detenuti dovrebbero lavorare per 8 ore al giorno, ma vengono impiegati nelle varie attività al massimo per due ore e neanche tutti. Le altre 22 ore le trascorrono stipati in cella. Tutti i tentativi di suicidio sono stati messi in atto in questa sezione.

AGENTI CANDIDATI. La Uil penitenziari è preoccupata per la pericolosa situazione del penitenziario di via Lamaccio, dove si registra una drammatica carenza di organico. «Chiederemo allo Stato l’invio dell’esercito fuori e dentro il carcere se prima delle prossime elezioni il Dipartimento amministrazione penitenziaria non provvederà a potenziare l’organico degli agenti a Sulmona».

«Con le prossime consultazioni elettorali», afferma Mauro Nardella (Uil), «molti degli attuali agenti in servizio andranno in congedo per 45 giorni, così come prevede la legge, perché si candideranno, e sarà praticamente impossibile coprire tutti i turni di lavoro».

L’organico del carcere di Sulmona prevede 310 agenti, ma attualmente ne sono in servizio poco più di 200, a fronte di una popolazione carceraria che supera i 500 detenuti: gli agenti che chiederanno il congedo elettorale dovrebbero essere circa 30, stando alle statistiche degli ultimi anni, ma il sindacato teme che possano essere molti di più soprattutto in relazione alla situazione che si vive dentro al carcere.

VINO AI PASTI. «Ci troviamo di fronte a una situazione esplosiva», aggiunge Nardella, «con un sovraffolamento di circa 200 detenuti, quasi tutti con problemi psichici, ai quali viene data la possibilità di poter bere il vino che aggiunto ai psicofarmaci diventa un mix esplosivo. Per questo torniamo a chiedere alla direzione del carcere di togliere dalla dieta dei detenuti qualsiasi tipo di alcolico ». Prima degli ultimi tentativi di suicidio i detenuti avevano fatto abuso di vino.

PROBLEMI SANITARI. Il personale medico e paramedico che opera nel carcere di Sulmona ha indetto lo stato di agitazione «per le difficili condizioni alle quali sono sottoposti per prestare le cure ai detenuti». Attualmente cinque medici prestano servizio a parcella con il vecchio contratto del ministero di Grazia e giustizia, mentre altri due sono contrattualizzati dalla Asl Avezzano-Sulmona- L’Aquila. La diversità di trattamento economico a parità di prestazione, più bassa per i primi e più alta per i secondi, sta ingenerando problemi all’interno della struttura di reclusione, così come la riduzione del personale addetto al Sert, nonostante l’elevata presenza di detenuti tossicodipendenti.

A causa del sovraffollamento e carenza di agenti penitenziari, i medici sono costretti a lavorare senza il supporto di questi ultimi, esponendosi a rischi che oltrepassano la previsione di contratto. «Il decreto legislativo 230 del 1999 per il trasferimento delle competenze dal ministero di Giustizia al Servizio sanitario nazionale », spiega Fabio Federico, responsabile medico del carcere di Sulmona, «è rimasto di fatto inapplicato, anche perché tutto è in mano alle Asl regionali, con gravi pregiudizi per la difformità nei protocolli sanitari diversi regione per regione.

Ogni Asl è autonoma, quindi è facilmente prevedibile che le regioni più sane sotto il profilo del bilancio della Sanità sono quelle che più possono investire in termini di tutela per la salute dei detenuti. Questo è profondamente ingiusto per i reclusi, che invece devono vedersi assicurati i trattamenti di cui hanno bisogno». Il timore è che si sia instaurato un percorso di emulazione dei reclusi per tenere alta l’attenzione dei media.