Truffa all'Inail, aquilano nei guai

La Corte dei Conti: il dipendente restituisca 1,3 milioni

L'AQUILA. Un milione e trecentomila euro di danni all'Inail. La pesante condanna è stata inflitta dalla Corte dei Conti della Lombardia a un aquilano di 49 anni, Leonardo Giancola, residente nella frazione di Roio Piano.

LA CONDANNA. A carico del funzionario aquilano è stato avviato il giudizio di responsabilità su istanza della procura regionale della Corte dei Conti della Lombardia. Con atto di citazione depositato il 29 marzo 2010, la Procura regionale ha convenuto in giudizio Giancola nella sua qualità di dipendente dell'Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro (Inail). A suo carico era stata chiesta una condanna a risarcire 1 milione e 325mila euro oltre agli interessi legali e alle spese di giudizio, a titolo di danno diretto, da disservizio e all'immagine subiti dall'ente. A conclusione del procedimento, il collegio della sezione giurisdizionale formato dai magistrati Antonio Vetro (presidente), Antonio Marco Canu e Adelisa Corsetti (consiglieri) ha disposto la condanna al pagamento della somma di 1 milione e 320mila euro, oltre agli interessi legali e alle spese di giudizio. Così è stato stabilito nella camera di consiglio che si è tenuta a Milano.

LA STORIA. La richiesta risarcitoria a carico dell'aquilano è stata determinata da un sistema, definito «truffaldino», posto in essere dal funzionario che, all'epoca dei fatti contestati (un periodo che va dal 1997 al 2000) era addetto all'area premi della sede di Bergamo. In concorso con altre persone, l'aquilano avrebbe «introdotto dati falsi nell'archivio informatico formato a mezzo di lettura ottica della modulistica recante l'importo delle retribuzioni dei dipendenti ai fini dell'autoliquidazione dei premi da parte delle imprese soggette all'assicurazione infortuni, in modo che le stesse potessero versare delle somme decisamente inferiori a quelle dovute». Nel mirino sono finite le denunce delle retribuzioni corrisposte ai dipendenti per gli anni dal 1997 al 2000. Sul fronte penale, la condanna in primo grado a quattro anni di reclusione da parte del tribunale di Bergamo è stata rimossa dalla Corte d'appello di Brescia per estinzione dei reati.

IL MECCANISMO. Secondo quanto emerso nel corso del procedimento, la truffa sarebbe stata orchestrata con un singolare sistema. Le imprese coinvolte nella truffa avrebbero fornito al dipendente una doppia documentazione, una contenente i dati corretti «sui quali avrebbe dovuto calcolarsi l'effettivo ammontare dei contributi di legge» e un'altra con dati diversi «e di importo notevolmente inferiore per i debitori, destinata all'inserimento nell'archivio informatico attraverso il sistema di lettura ottica, con conseguente registrazione di imponibili notevolmente inferiori». Al termine della fase informatizzata il modello falso veniva sostituito con quello vero. In caso di controlli, la discordanza tra i dati sarebbe stata attribuita o a un difetto di lettura del sistema oppure a un errore nell'inserimento.

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