Uccise moglie e figlia: carcere a vita

Condannato il bracciante kosovaro accusato del duplice omicidio. Accolte dalla Corte di assise le richieste del pg

L’AQUILA. Un delitto tanto efferato per il quale non esiste una pena diversa dall’ergastolo: questa la condanna inflitta ieri mattina dalla Corte d’assise dell’Aquila al bracciante kosovaro Veli Selmanaj, 49 anni, colpevole di avere freddato a colpi di pistola l’ex moglie Fatime e Senade, una delle figlie, di 21 anni.

Alla lettura della condanna l’imputato “padre padrone”, presente come sempre in aula, non ha battuto ciglio ed è rimasto impassibile. Poi, scortato da quattro agenti di polizia penitenziaria, è uscito senza mai abbassare lo sguardo nemmeno quando è passato davanti alla madre e ai figli.

Il collegio (Grieco, Gargarella e giudici popolari) non ha impiegato molto a emettere il verdetto (nemmeno tre ore di camera di consiglio) e ha accolto tutte le istanze del Pg, Maurizio Maria Cerrato, e quelle della parte civile rappresentata dall’avvocato Leonardo Casciere.

«Fu un agguato», ha detto Cerrato nella requisitoria, «non un incontro occasionale, l’imputato uccise freddamente e non aveva nessuna patologia che potesse condizionarlo. Le attenuanti sono poca cosa rispetto alle aggravanti a suo carico».

Non meno duro l’avvocato di parte civile. «Il movente del delitto di Pescina», ha detto, «affonda le sue radici nel codice kanun, il codice delle montagne che condiziona ancora le scelte dell’imputato. Un omicidio barbaro in quanto l’imputato era convinto che le donne della sua famiglia erano come un bene di sua proprietà».

L’uomo, infatti, si era macchiato anche del reato di abusi sessuali sulle figlie e maltrattamenti verso la moglie. Quando costoro lo hanno cacciato di casa a causa dei continui soprusi, Selmanj non ha accettato «l’affronto» e ha ucciso le due donne che si erano ribellate. A causa della sua gestione dittatoriale della famiglia, la ragazza (poi uccisa) non poteva partecipare a gite scolastiche, feste di Carnevale o di Halloween. Insomma per la sua mentalità uccidere le due donne era una sorta di dovere morale.

Gli avvocati dell’accusato, i legali Davide Baldassarre e Antonio Milo, avevano scarso margine di manovra. Hanno provato a sostenere che, comunque, la depressione da cui l’imputato era affetto, sostenuta dal perito della difesa, lo avrebbe condizionato al punto che non avrebbe avuto alcuna alternativa a quella esecuzione. È stato detto che non era un delitto premeditato visto che in tali casi il colpevole studia un piano di fuga e il loro assistito non si allontanò da Pescina. Si è ribadito che l’ergastolo è contestato dalle valutazioni della Corte di giustizia europea. Ma non è bastato.

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