Vaime: il mio viaggio per conoscere gli italiani

7 Dicembre 2012

Il conduttore tv: «Preferisco scrivere perché lo faccio per me stesso il mondo della comunicazione è affascinante, ma anche molto pericoloso»

AVEZZANO. «Sono un irrequieto, per una vita ho cambiato città , abitudini». Esordisce così Enrico Vaime, noto conduttore e scrittore, durante la 6° giornata della rassegna letteraria "Pagine Aperte", organizzata dall' associazione "Adsumus quoque". "Gente perbene", il suo nuovo libro, presentato nel corso della serata, nasce dalla nostalgia di "quello che era" - sarà casuale l'Isomoto sulla copertina? - e dalla voglia o necessità di partire, di lasciarsi il passato alle spalle. E Vaime di valigie, ne ha fatte tante: da sempre in viaggio nello Stivale, racconta quanto abbia guadagnato da ogni esperienza. I milanesi che alle 19 mangiano la minestrina, i romani che ogni sera "E mo' che facciamo?", i napoletani che "Dopo aver vissuto a Napoli, sono diventato bilingue: parlo italiano e napoletano". Insomma, il viaggio come arricchimento, integrazione, ma forse anche come via di fuga (vedi "I vitelloni" di Fellini). Protagonista un ragazzo di provincia che scopre, nell'Italia post-bellica, la società che lo circonda e che ha sempre amato, senza rimpianti.

Sono tantissimi i programmi che lei ha condotto/scritto, così come i libri da lei pubblicati: si sente meglio rappresentato dal piccolo schermo o dalla scrittura?

«Narcisisticamente sento più congeniale la scrittura: è qualcosa che faccio per me stesso. Quanto alla televisione, si tratta di creare qualcosa che incontri il gusto di un pubblico più vasto e diversificato: è complicatissimo. La scrittura creativa per il mondo dello spettacolo rappresenta però una sfida che, se raccolta, alla fine, dà enormi soddisfazioni».

Il cinema può essere considerato un mezzo di analisi sociale. Ci permette di vedere i "noi" di ieri, i "noi" di oggi. Lei conduce "Anni Luce" su La7: connessioni volute tra il programma e il suo libro? Ritorna nella cinematografia italiana il ritratto di un' Italia perbenista?

«Non so se ci sono connessioni, se sono rilevabili. A me sembra naturale fare riferimento a quello che vedo, quello che sento. Scrivendo delle cose, a volte ci si accorge che magari "arrivano" in maniera diversa all' ascoltatore/lettore. L'avventura della comunicazione è affascinante, ma anche molto pericolosa. Accade infatti che di una cosa viene recepito il contrario e, a quel punto, che fare? Fare finta di niente, fischiettare un motivetto? Chi si occupa di comunicazione deve essere in grado di uscire "senza danni" da questo tipo di situazioni. La comunicazione si trasforma continuamente. Ogni giorno la problematica è differente».

A proposito di comunicazione, nel suo libro lei utilizza registri linguistici molto diversi: l'alternanza linguistica è voluta o voleva semplicemente divertirsi un po' con i suoi personaggi?

«Mi viene naturale, non so perché lo faccio», chiude sorridendo.

Irene Scipioni

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