il cardinale Angelo Becciu (foto Ansa)

PRIMA UDIENZA IL 27 LUGLIO

Vaticano, rinvio a giudizio per l’abruzzese Tirabassi

L’economo della Santa Sede, 55enne originario di Celano, coinvolto nello scandalo. Nel Fucino venne sequestrato un tesoro da due milioni di euro

CITTÀ’ DEL VATICANO. C’è anche un celanese tra i rinviati a giudizio in Vaticano per l’inchiesta sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Si tratta di Fabrizio Tirabassi, 55 anni, economo dell’ufficio amministrativo, a cui viene attribuito un ruolo da protagonista nella vicenda. Un tesoro di circa due milioni di euro e composto da monete d’oro e d’argento in ceste di vimini e mazzi di soldi, circa 200mila euro in cassaforte, sono stati sequestrati a novembre dalla guardia di finanza e dalla Gendarmeria vaticana in un magazzino del Fucino e nella casa romana del funzionario finito al centro dello scandalo finanziario che ha fatto tremare la Santa Sede.

Tirabassi, legato al cardinale Angelo Becciu, principale indagato nell’inchiesta vaticana, avrebbe agito in un doppio ruolo: economo della Segreteria di Stato e direttore finanziario di un’agenzia di broker, che potrebbe essere all’origine dei suoi rapporti con uomini d’affari il cui operato è finito la lente dei magistrati. L’inchiesta è partita dall’acquisto del palazzo in Sloane Avenue 60, a Londra e ha portato al rinvio a giudizio di per dieci persone – tra cui prelati, funzionari della Santa Sede, finanzieri e manager – e quattro società, per reati che, a vario titolo, vanno dal peculato alla truffa, dall’abuso d’ufficio all’appropriazione indebita, dalla corruzione all'estorsione e altri.

Il quadro tracciato dagli inquirenti mostra «un marcio sistema predatorio e lucrativo» a danno della stessa Segreteria di Stato e di suoi fondi caritativi come l’Obolo di San Pietro, con conseguenti gravi perdite per le casse vaticane, e che si sarebbe retto su «complicità e connivenze» tra operatori finanziari e consulenti esterni e addetti e dirigenti interni. Per la prima volta in Vaticano, andrà alla sbarre anche un porporato che andrà alla sbarra con uno specifico benestare concesso da papa Francesco: è appunto Becciu, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei Santi. Accusato di peculato e abuso d’ufficio, oltre che di «subornazione» di un testimone (monsignor Alberto Perlasca, cui avrebbe cercato di far ritrattare le deposizioni accusatorie chiamando in aiuto il superiore gerarchico diocesano, il vescovo di Como Oscar Cantoni), Becciu risponderà dei bonifici per 575mila euro della Segreteria di Stato alla manager cagliaritana Cecilia Marogna, che sarebbero finiti in spese personali e oggetti di lusso, e i finanziamenti rivolti alla cooperativa del fratello Antonino (600mila euro dai fondi Cei e 225mila da quelli della Santa Sede). "Sono vittima di una macchinazione ordita ai miei danni", dichiara Becciu, "e attendevo da tempo di conoscere le eventuali accuse nei miei confronti, per permettermi prontamente di smentirle".

Oltre a lui, alla Marogna (accusata di peculato) e Tirabassi, il decreto di citazione a giudizio chiama a comparire nell'udienza del 27 luglio: lo svizzero René Brülhart, ex presidente dell'Autorità di vigilanza finanziaria; monsignor Mauro Carlino, già segretario di Becciu; Enrico Crasso, l’uomo della finanza che da decenni aveva in gestione gli investimenti della Segreteria di Stato; Tommaso Di Ruzza, ex direttore dell’Aif; Raffaele Mincione, il finanziere che fece sottoscrivere alla Segreteria di Stato importanti quote del fondo che possedeva l’immobile londinese, usando poi – secondo le accuse – il denaro ricevuto per suoi investimenti speculativi; Nicola Squillace, avvocato coinvolto nella trattativa; Gianluigi Torzi, il finanziere chiamato ad aiutare la Santa Sede ad uscire dal fondo di Mincione che sarebbe riuscito a farsi liquidare ben 15 milioni per restituire il palazzo ai legittimi proprietari. La Segreteria di Stato sarà parte civile e verrà rappresenta da Paola Severino, ex ministro della Giustizia.