«Vi sono vicino, ora ricostruiamo insieme»

Il presule contestato: non sono qui per la tv, m’interessa la città

L’AQUILA. Ha uno zucchetto viola in testa, sì, ma non basta. Se non fosse per quel colore, poi, a vederlo sembrerebbe un prete come un altro. Passato mezzogiorno i fischi si sentono forti e chiari. Fino ai Quattro cantoni. «Ma chi fischiano? La polizia?». No, fischiano il vescovo. Monsignor Giovanni D’Ercole, l’ausiliare dell’Aquila, sbucato all’improvviso sotto la torre di Palazzo, non si perde d’animo. Respinge l’invito della polizia ad allontanarsi, prende una pala e si mette al lavoro. Come gli altri. Dai fischi agli abbracci.

Il nero della talare, ai piedi di questo mucchione di terra bagnata e quindi appesantita, diventa subito bianco. Effetto mulino. E marrone chiaro diventano quelle scarpe nere di lucido appena passato e adesso calate nel fango. I fischi. I rimproveri di voler «mettere il cappello» anche sulle macerie. La contestazione all’abbigliamento: «Dovevi venire con la tuta». Gli inviti ad andare a passare la domenica da un’altra parte. Le critiche sulla mensa dei poveri a piazza d’Armi. In mezzo pure qualche imprecazione. Tutto questo non lo scompone più di tanto. È tranquillo, il vescovo ausiliare, con don Mauro Orrù al suo fianco al quale aveva chiesto poco prima: «Vuoi venire con me in piazza?».

Detto, fatto. La croce pettorale di legno, stile francescano, balla di qua e di là mentre D’Ercole, di buona lena, si mette a caricare una carriola che gli fanno arrivare in tutta fretta. «Voglio spalare anch’io». Un ragazzo dalla faccia pulita gli si avvicina e gli dice: «Eccellenza, venga a fare la catena con noi. Sa com’è, passare i secchi è meno faticoso che caricare da terra...». «No, tranquillo, io sto bene qua. Anzi, dammi una mano pure tu». E alla terza-quarta palata di quest’operaio improvvisato passato, in pochi mesi, dalle ovattate stanze della Segreteria di Stato della Santa Sede alla strada, ecco che la fronte s’imperla di sudore. Lui come gli altri. E a vedere quel prete coi capelli bianchi che guarda in faccia la gente e non teme, no, la contestazione, i fischi diventano applausi.

Pochi, ma ci sono. E abbracci, come quello di Enza Blundo (Cittadini per i cittadini) che poi, alla fine, lo riaccompagna fino a piazza Duomo per parlargli degli anziani alla Campomizzi, di Valle Pretara e delle mille e mille altre angustie quotidiane che salgono dalla pancia della città ferita. Quattro passi in centro, per il corso, dove saluta cittadini e amministratori come l’assessore Pierluigi Pezzopane. Il sindaco è a casa febbricitante. Una passeggiata tra le rovine che è anche l’occasione per spiegare i motivi di questa sortita non programmata né annunciata. Non prima di aver risposto così all’inviata di un giornale nazionale: «Il Vaticano benedice le carriole? Non c’entra niente, il Vaticano. Qui siamo all’Aquila. Parliamo dell’Aquila».

Don Giovanni, perché qui stamattina?
«Come perché? Io sono un pastore e sto in mezzo alla gente. Mi sembra normale, no? Non sono venuto per le telecamere. Sono venuto per la città. È la città che m’interessa. È la città da ricostruire, per cui anche la Chiesa vuole dare il suo contributo, nella semplicità e nella chiarezza. L’ho detto anche quando sono stato al Comune. Abbiamo dei progetti. Voi avete i vostri. Mettiamoli insieme e facciamo qualcosa di buono per questa città».

Ma coi fischi come la mettiamo?
«Niente, non fa niente. Le ragioni di questa protesta vanno comprese. L’iniziativa delle carriole è sicuramente un modo con il quale questi miei amici aquilani esprimono la loro volontà. Vanno capiti, aiutati e, anche nella loro rabbia, compresi».

Si aspettava un’accoglienza del genere?
«Non ho detto a nessuno che sarei venuto qui. Non l’ho voluto pubblicizzare. Voi stessi ve ne siete accorti perché c’eravate, e mi avete visto. Sono convinto di aver fatto bene a stare con la mia gente. Sulla mensa parlo con padre Quirino. La chiesa potrebbe diventare dormitorio. Una struttura in più per i poveri».

L’hanno invitata a partecipare anche alle assemblee. Pensa di andarci?
«Come no. A me sta a cuore tutto quello che riguarda questa città e dunque anche il dibattito che si è sviluppato e tutte le attese dei miei concittadini. L’ho detto quando sono arrivato e lo ripeto: ricostruiamo insieme». (e.n.)

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