8 marzo

Le donne marciano in oltre 40 Paesi: «Stop alla violenza»

L’iniziativa globale dell’8 marzo della rete "Non una di meno". Per rivendicare diritti, parità di trattamento e aborto sicuro

L’AQUILA. L’appello è per tutte, “Non una di meno”. Una grande giornata di mobilitazione, uno sciopero globale delle donne che “attraverserà” oltre 40 Paesi del mondo. L’8 marzo questa volta non è una ricorrenza celebrativa, non ci sono solo mimose. È una grande giornata di lotta (c’è l’adesione anche della Women’s March di Washington) contro il femminicidio e il sessismo, per il lavoro e la parità salariale. C’è chi lo sciopero lo fa astenendosi dal lavoro, c’è chi organizza assemblee, chi partecipa a cortei e flash mob. E c’è chi aderisce indossando semplicemente qualcosa di nero e fucsia. Tanti modi diversi di manifestare, da New York a Londra, da Berlino a Parigi, dall’America Latina a Roma e in molte altre parti del mondo, per restituire significato all’8 marzo, per riaffermare ovunque la libertà delle donne: dal lavoro, sempre più precario, alla sessualità. Donne ancora una volta “in marcia” in Italia e nel resto del mondo. Una protesta ripartita dall’Argentina dove lo scorso anno, dopo il ripetuto stupro e l’uccisione di una 16enne, in migliaia avevano proclamato lo sciopero e riempito le piazze, rifiutandosi di svolgere ogni tipo di attività.

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E dopo l’Argentina è stata la volta della Polonia dove le donne si sono rese protagoniste di una lunga battaglia contro la legge che voleva, ancora una volta, rendere illegale l’aborto. Anche lì hanno riempito le piazze, bloccato le attività del Paese e costretto il governo a ingranare la retromarcia. Il nome del movimento italiano “Non una di meno” deriva proprio dal gruppo argentino Ni una menos. Il 26 e 27 novembre a Roma c’è stato il primo test, con un grande corteo e un’assemblea nazionale. Poi il replay il 4 e 5 febbraio a Bologna dove, nelle aule dell’università, in duemila hanno scritto quello che loro stesse hanno definito “il piano femminista contro la violenza”.

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«Perché», hanno spiegato le promotrici dell’iniziativa, «la verità è che, finora, né la legge del 2013 contro il femminicidio né il piano antiviolenza prodotto dalla commissione Pari opportunità hanno dato i risultati sperati. Una vittima su quattro denuncia il suo persecutore, eppure nessuno ferma la strage. E nulla in questi anni è accaduto sul fronte della prevenzione. I progetti di educazione alla parità, ripetutamente promessi dal ministero dell’Istruzione, non sono mai partiti. Per non parlare, poi, dei tanti tentativi di educazione di genere via via naufragati». Un confronto su otto tavoli tematici per redigere il Piano nazionale antiviolenza e preparare gli 8 punti ora al centro della mobilitazione.

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Violenza, parità dei salari, ma anche la difesa della legge 194. Uno sciopero concreto e simbolico, al tempo stesso, per dimostrare che se le donne si fermano si ferma anche il mondo. E per ribadire «che se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo». Per Sara bruciata viva mesi fa a Roma; per Carla sfigurata con l’acido; per le tante donne uccise ogni anno in Italia. Non una di meno, per ricordare le stragi compiute nel mondo, dai massacri di Ciudad Juarez alle donne scomparse e uccise in Argentina.

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