LA CALABRIA TRAGICA DI “ANIME NERE” COMMUOVE E INQUIETA
OLTRE 13 MINUTI DI APPLAUSI PER IL FILM DI FRANCESCO MUNZI , PRIMO ITALIANO IN CONCORSO
VENEZIA. Un pezzo d’Italia dimenticato dallo Stato, legato ai rituali arcaici e violenti della ’ndrangheta. Francesco Munzi, il regista di Anime Nere, porta Africo e la Calabria più profonda fuori dalle cronache giudiziarie e giornalistiche e le catapulta in un racconto cinematografico sospeso tra western e tragedia greca. La porta davanti agli occhi del mondo: selezionato in concorso a Venezia71, dopo la Mostra il film sarà anche a Toronto.
E per il primo film italiano in concorso al Lido: dopo l’accoglienza favorevole della critica alla proiezione del mattino il pubblico della Sala Grande si lascia andare ad un applauso interminabile che sa di emozione profonda, di colpo al cuore. «Il mio film parla di criminalità, di faide, di agguati, di una realtà ancora troppo lontana da quella ufficiale e istituzionale. Ma il cuore dell’opera è rappresentato dalla guerra familiare che squarcia e dissolve i legami fraterni in una Locride selvaggia dove si allevano le capre e si contano i soldi del traffico di droga». L’ambientazione è uno degli elementi portanti del film. «Avevo molti pregiudizi e paure, temevo che gli abitanti di Africo ci guardassero con sospetto. Invece ho scoperto un luogo aperto e curioso pur nella sua ambiguità e diffidenza verso lo Stato. Abbiamo lavorato senza alcun tipo di censura, con tranquillità, pur mettendo in scena una storia di ’ndrangheta. Contrariamente a quello che si può pensare o alle voci che circolano sulle imprese produttive al Sud, non abbiamo pagato nessun pizzo».
L’ambiente non è poco, in questo film: Fabrizio Ferracane che interpreta il ruolo di Luciano, raccontato che è stato un mese e mezzo tra le capre in montagna per immedesimarsi nel ruolo, e imparare il dialetto, da siciliano ha dovuto parlare calabrese. Quella che emerge dal film è un’immagine forte, dolorosa e spietata, l’immagine di un destino ineluttabile: quella che all’assessore alla Cultura della Regione Calabria, Mario Caligiuri, fa dire a stretto giro: «Non si può ridurre l’immagine di una regione alle Anime Nere soprattutto in una vetrina internazionale com’è la Mostra di Venezia. Il film offre necessariamente uno spaccato parziale per esigenze narrative». Anime nere è ispirato all’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, sebbene il regista lo abbia rielaborato in chiave più familiare e contemporanea. «Ho spostato la vicenda del libro dagli anni ’70 ai giorni nostri e i tre amici del romanzo sono diventati tre fratelli». È un universo dominato dagli uomini ma non solo. Anzi: «Le donne sono anime più nere degli uomini» ammette una delle attrici, Anna Ferruzzo «perché preservano il passato e segnano il destino tragico della famiglia». Il finale del film è cupo, di tragica ineluttabilità. Ma, avverte Munzi, «ha anche una carica eversiva enorme perché rompe gli schemi del male. A suo modo è un epilogo catartico». E a suo modo è rivoluzionario è l’appello lanciato dal giovane protagonista Giuseppe Fumo, che ai suoi coetanei calabresi lancia un messaggio forte: «Non c’è futuro con la mafia. So che non c’è lavoro al Sud, ma costruitevi un avvenire senza ’ndrangheta».
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