Accusata di voler uccidere il marito «Non ero nelle mie facoltà mentali» 

Daniela Lo Russo rilascia dichiarazioni spontanee in aula: «Dipinta come un’assassina, ma non è così» La difesa tenta invano di ottenere una perizia psichiatrica, il 9 settembre discussione e poi la sentenza

PESCARA. «L'azione e la volontà di voler ledere Antonio Di Tommaso non le ho mai negate, ma da qui a dire che volevo ucciderlo, questo non è vero». Sono le dichiarazioni spontanee che a sorpresa ha voluto rendere ieri al collegio Daniela Lo Russo, la principale protagonista del processo per il tentato omicidio del suo secondo marito: accusa che condivide con il figlio Michele Gruosso.
CURE MENTALI «Durante questa vicenda», ha dichiarato la donna proprio alla vigilia della discussione finale fissata per il 9 settembre prossimo, «sono stata seguita dal Centro di igiene mentale e ho avuto la fortuna di tirare fuori qualcosa che forse avevo rimosso. Adesso sono nelle condizioni fisiche e mentali per farlo, visto che rischio una condanna per tentato omicidio: fa bene a me e lo devo ai miei figli».
LE ACCUSE La donna, insieme al figlio, è accusata di aver tentato di uccidere il marito Di Tommaso, somministrandogli nel tempo dosi massicce di Coumadin, un farmaco che impedisce la coagulazione del sangue e che, se associato magari a delle percosse o lesioni (la vittima venne infatti anche aggredita da un colombiano che, secondo quanto sostiene l'accusa, venne ingaggiato dal figlio, e che figura come imputato soltanto per l'aggressione) avrebbe potuto portare l'uomo alla morte: un delitto perfetto.
COME TOTÒ RIINA «Io e la mia famiglia siamo stati dipinti come assassini, mentre Di Tommaso come una persona immacolata e quasi santa. Ma non è così. Venivo da cinque anni di molestie, ho subìto un ricovero in psichiatria e un infarto da stress grazie a quella vita che facevo. Mi hanno debilitata come persona e come donna. Io e i miei figli siamo entrati in una spirale d'inferno e oggi, finalmente, siamo riusciti a ricostruire i nostri rapporti. Ma nessuno ha indagato su quello che è successo prima. Ho vissuto in una casa dove sono stata picchiata e gettata anche per le scale. Certo, ho sbagliato a non denunciare quei fatti, ma adesso dico basta, non voglio che passi più questo messaggio. I giornali hanno scritto più su di me che su Totò Riina, un medico ha fatto addirittura una conferenza stampa senza aver mai visitato mio marito. Chiedo quindi a voi di accertare lo stato in cui io sono stata portata in quel momento. Se volevo farlo morire lo lasciavo morire a casa sua visto che non stavamo più insieme anche se lui mi cercava sempre».
LA PERIZIA E al termine di queste dichiarazioni spontanee, il suo difensore, l'avvocato Domenico Travaglini (il figlio è invece assistito dall'avvocato Fabio Abruzzese), ha chiesto al tribunale di far sottoporre l'imputata ad una perizia psichiatrica per accertare se al momento dei fatti la donna era capace di intendere e di volere. Netta l'opposizione del pm Rosangela Di Stefano, alla quale si è unito il collegio rigettando la richiesta. E sempre ieri sono stati ascoltati tre testi della difesa tra cui un medico, Giancarlo Di Battista, che lo ebbe come paziente in ospedale nel 2016.
«Di Tommaso aveva un problema di coagulopatia di difficile inquadramento e non motivato dalle terapie: per quanto era a nostra conoscenza il paziente non prendeva farmaci anticoagulanti. Ci siamo sempre raccomandati di non prendere, come alimentazione, nulla che arrivasse dall'esterno: il dubbio c'era, ma avevamo controllato e con sé nella stanza, il paziente non aveva nulla di farmaci. Era come se fosse scoagulato di continuo nonostante le terapie». La sentenza dovrebbe arrivare il 9 settembre.
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