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"Arrosticini e pizza", invece è la coca della 'ndrangheta

Tre pescaresi arrestati in un'inchiesta sul traffico di droga con la Colombia: tra questi zio e nipote accusati di comprare sostanze stupefacenti per rivenderle a Pescara e nel circondario di Chieti

PESCARA. «Arrosticini», «pizza» e «caffè» per mascherare l’affare della cocaina colombiana lungo il corridoio Pescara-Reggio Calabria. «Tu lo sai, quando stai qua ci andiamo a fare una mangiata, dai». Una «mangiata» per trattare con gli intermediari dei boss calabresi i prezzi della droga da piazzare a Pescara, nel circondario e anche a Chieti. Ci sono anche tre pescaresi nella rete della squadra mobile di Reggio Calabria che, ieri, ha arrestato 19 persone accusate di far parte di un’organizzazione che acquistava grossi carichi di droga dai narcotrafficanti sudamericani. I pescaresi arrestati sono Paolo e Mirco Manzo, 56 anni il primo e 34 il secondo, entrambi finiti nel carcere di San Donato mentre per Luigi Sivitilli, 50 anni, sono scattati i domiciliari. Ad arrestarli sono stati gli uomini della Mobile di Pescara, guidati dal dirigente Pierfrancesco Muriana. Secondo gli inquirenti, i Manzo, zio e nipote, e Sivitilli «erano tra i finanziatori o comunque gli stabili acquirenti della sostanza stupefacente» procurata dagli affiliati alla ’Ndragheta. Un fiume di cocaina – «Quantità indeterminata», secondo la polizia – che, poi, sarebbe stato spacciato in zona: i pescaresi volevano fare il salto e diventare ricchi ma, dall’inchiesta, emerge anche che a volte non avevano nemmeno i soldi per comprare la droga.

Ad accusare i Manzo e Sivitilli ci sono le intercettazioni telefoniche riferite al 2012. «Incontriamoci a Cerratina e andiamo a mangiare due arrosticini», dice Sivitilli a Manzo che risponde: «Va bene, porto anche l’amico mio!». Secondo gli investigatori si sta trattando la vendita di droga. «Perché che fa... dove mangiamo in due, mangiamo in tre! Non è un problema». «Allora», dice Manzo, «adesso facciamo così: ci vediamo là da te che devo farti vedere una cosa». Per la polizia, il riferimento è ancora alla droga. Ma servono i soldi: «Che stai facendo?», chiede Manzo. «Per adesso sto cazzeggiando», la risposta di Sivitilli. «Ah... ho capito, non hai fatto niente, no?», dice Manzo che per i poliziotti si riferisce ai soldi necessari a pagare la droga che non sarebbero stati ancora trovati. «Vediamo, vediamo... mai dare cose alla provvidenza! C’abbiamo ancora tempo».

Gli indagati nell’indagine della polizia per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga sono oltre 25. Arresti e perquisizioni, oltre che in Calabria e a Pescara, sono scattati nelle province di Milano, Napoli e Bologna. Secondo le indagini, l’organizzazione, vicina alle cosche del mandamento ionico, operava fra l’Italia, la Colombia, il Perù, la Repubblica Domenicana e la Spagna.

Tra gli arrestati ci sono anche soggetti vicine alle famiglie Morabito, Bruzzaniti e Palamara, ritenuti capi della ’ndrina operante tra Bova Marina, Bianco, Africo e Platì. E i pescaresi parlavano anche con Giovanni Palamara, 56 anni di Bova Marina. «Aspettavo tue notizie», dice il calabrese a Manzo in merito al pagamento della droga che slitta. «Se ti trovi di passaggio ti fai una mangiata», gli dice Manzo. Ma il calabrese vuole i suoi soldi: «Per adesso no», lo liquida Palamara, «avevo chiamato per quel discorso. Com’è finito? Non puoi risolvere». «Va bene, dai! Dammi un po’ di giorni e risolto. Va bene? Che adesso ho preso il caffè e ho speso fino all’ultima lira! Fammi incassare qualcosa».

In un’altra conversazione, Palamara torna a pretendere i soldi: «Quando puoi fare?». «Adesso vedo! Dammi un po’ di giorni e te li mando, almeno la metà te li mando! Tanto 200 ti devo mandare! Va bene?», dice Manzo invitando Palamara Pescara, «dai, tu quando ti fai vedere?».«Eeeh! Quando mi faccio vedere! Eh! Vengo lì... dai... e perdo solo tempo», dice Palamara. In un altro colloquio, Palamara è ancora più chiaro: «Eh, cazzo, te l’ho detto: vedi quello che puoi fare, eh». «Lo so, Giovanni, ma ora non ce l’ho, sto messo male». «Sì, ma dai... 4 mesi già, messo male».

Complessivamente, le indagini hanno permesso di sventare l’importazione di oltre 35 chili di cocaina fra la Colombia e la Calabria. La droga, oltre che via mare, sarebbe giunta in Italia anche via aerea con corrieri adibiti al trasporto della cocaina in valigie fino ad uno scalo aereo del Centro-Nord Italia dove passavano grazie alla complicità di un finanziere e un vigilante.

«Un’organizzazione estesa su tutto il territorio nazionale», commenta il capo della Dda di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, «con forti agganci transnazionali in Colombia, soprattutto, ma anche in Ecuador e Perù, capace di introdurre in Italia non meno di 35 chilogrammi per volta di cocaina». L’importazione sarebbe avvenuta attraverso apposite società operanti soprattutto nell’importazione di prodotti ortofrutticoli o di pesce.

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