BANCA DELL’ABRUZZO ORA O MAI PIU’
Qualche decennio fa gli americani sghignazzavano davanti a una celebre battuta di Bob Hope. Diceva: “Le banche sono disposte a prestarti denaro, ma a patto che tu dimostri di non averne bisogno”. È' incredibile quanto quelle parole si siano rivelate profetiche, anche e soprattutto in Italia. Peccato che, per ripartire, l'economia necessiti di un carburante, i prestiti appunto, che venga fornito anche a chi il serbatoio ce l'ha mezzo vuoto, ma magari ha davanti un promettente tratto di strada. Ma qui, venendo all'Abruzzo, casca l'asino, nel senso che è venuto il momento di decidere se all'uopo serve una banca regionale, “vocata al territorio”, o se invece queste sono nostalgie da “Vecchio Scarpone” e un istituto vale l'altro, qualsiasi targa porti.
Facile intuire che la discussione si intreccia con le vicende del gruppo Tercas-Caripe, impegnato proprio in queste ore a trovare i quattrini che servono per rimettere in sesto il patrimonio e uscire dal commissariamento della Banca d’Italia. Stiamo parlando di 300 milioni di euro, mica bruscolini, soprattutto per una regione piccola come l'Abruzzo. Dove trovarli? Magari portando a bordo un cavaliere bianco, leggi un istituto del nord, che si prenda Tercas esattamente come ha fatto l’emiliana Bper con BLS e Carispaq? La situazione è molto simile a quel che stanno vivendo i nostri vicini marchigiani. Anche lì c'è un istituto, Banca Marche appunto, che è stato messo in ginocchio da un mix di follie gestionali e di crisi economica. Morale, servono soldi, molti soldi, anche più di quelli che va cercando Tercas. E allora il governatore Gian Mario Spacca, per salvare la marchigianità, ha chiamato a raccolta tutti gli imprenditori, chiedendo un milione a testa per contribuire a chiudere il buco.
E qui? Interessa a qualcuno l'abruzzesità? Qui si è bussato ad altre porte, ovvero alle fondazioni bancarie. Che, contrariamente a quel che avviene nelle Marche, qualche soldino da parte ce l'hanno ancora. L'idea è di raccogliere con loro 200 milioni, metà versati dalla solida Pescarabruzzo, il resto da Tercas (50 milioni), Carispaq (una trentina) e Carichieti quest'ultima non versando contanti, ma il 10% dell'omonima banca. Ma il tempo è poco e le perplessità molte: a Pescara si chiedono se è il caso di rientrare dalla finestra nel credito, dopo esserne usciti vendendo Caripe, mentre Chieti e' sempre allergica ai matrimoni. E poi servirebbero altri 100 milioni: qui dovrebbe muoversi la politica, che in Abruzzo lavora sotto traccia, per opera soprattutto del governatore Gianni Chiodi e del sottosegretario Giovanni Legnini. Se tutto andrà a buon fine, a primavera avremo una banca abruzzese ridisegnata, con presidenza a Pescara e direzione a Teramo. Vedremo. Per ora buona domenica.
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