Bussi, processo per la discarica: «Acqua avvelenata Pagheranno i danni»

Intervista all'avvocato dello Stato Cristina Gerardis dopo la condanna: ora al lavoro per ottenere i risarcimenti

PESCARA. «Io ce la metterò tutta e, di solito, sono abbastanza testarda». Cristina Gerardis, avvocato dello Stato nel processo Bussi e ora anche direttore generale della Regione, guarda già avanti: dopo le 10 condanne per il disastro della discarica di Bussi sancite dalla Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, Gerardis disegna le strategie per la prossima battaglia legale: quella per ottenere il risarcimento dei danni. L’ultimo scontro, il più duro, perché in ballo ci sono milioni e milioni di euro da investire nella bonifica dei siti contaminati. «Ora dobbiamo andare a prenderci questi soldi», dice Gerardis. E senza perdere tempo: «Perché il tempo che passa fa male a tutto», dice lei, «fa male all’ambiente perché, a Bussi, la contaminazione aumenta giorno dopo giorno; fa male alla fiducia delle persone che aspettano risultati dopo una sentenza di condanna; fa male alle istituzioni che hanno il dovere di attivarsi subito». Dopo le assoluzioni del 19 dicembre 2014 a Chieti, il quadro è mutato e la Corte aquilana ha disposto anche provvisionali da quasi 4 milioni per le parti civili.

leggi anche: Discarica di Bussi, fu disastro colposo: 10 condanne I giudici della Corte d'appello ribaltano il giudizio di primo grado: riconosciuto il reato di avvelenamento delle acque, ma è prescritto. Quasi 4 milioni di risarcimento per i danni ambientali

Avvocato, cosa è cambiato tra la prima e la seconda sentenza su Bussi?

«Una sentenza ribaltata. E in un processo così, la nostra grande soddisfazione è che la sentenza ha affermato e riconosciuto l’avvelenamento delle acque sotterranee, una tesi che sia la procura generale che l’Avvocatura dello Stato hanno sostenuto. Adesso, c’è stata una giusta interpretazione del reato di avvelenamento: secondo la Corte dell’Aquila, anche la falda è meritevole di tutela penale, una cosa che non era stata sancita in primo grado. La Corte l’ha riconosciuto nella forma colposa e, quindi, ne ha dichiarato la prescrizione, ma dal punto di vista civilistico, è un fatto fondamentale perché apre la strada al risarcimento dei danni. Questa sentenza diventa uno strumento importantissimo per le parti civili nell’ottica del territorio e, quindi, della bonifica dei siti contaminati: è stato riconosciuto il diritto della parte pubblica al ripristino ambientale. La Corte ha riconosciuto provvisionali ai Comuni interessati e un milione di euro all’Aca: significa che la Corte ha esaminato il pregiudizio arrecato alla risorsa idrica, proprio quell’acqua che è stata sottratta agli abruzesi con la chiusura dei pozzi Sant’Angelo».

Come è possibile un ribaltamento del genere?

«A un osservatore estraneo dei tecnicismi del diritto, può apparire strano ma è la dinamica del processo: noi abbiamo impugnato la sentenza di primo grado avendo fiducia in una possibile rivisitazione. E ho avuto la prova che abbiamo fatto bene. La sentenza di primo grado aveva interpretato diversamente il reato di avvelenamento escludendo la falda e aveva negato anche livelli di contaminazione alta».

Il principio giuridico che è stato ristabilito recita che «chi inquina paga»: e ora?

«Sembra un principio banale ma si è sancito che un soggetto che lede l’integrità delle matrici ambientali e delle risorse naturali deve riportare i luoghi allo stato precedente all’inquinamento. Ora bisognerà individuare il responsabile civile, la Edison, a cui far risalire gli imputati, il soggetto che dovrà risanare quell’area e dare il giusto risarcimento alle parti civili danneggiate».

Si apre una nuova battaglia per i soldi?

«Sicuramente, ma con una sentenza così abbiamo uno strumento forte per persuadere il responsabile civile. Ci saranno passaggi diversi rispetto al processo penale. Ma bisogna attivarsi subito: con un’affermazione così in sede penale, non si può più aspettare».

Lei, durante il processo di secondo grado, ha presentato nuovi documenti in base ai quali l'inquinamento non si ferma ma continua e si allarga: questi atti sono stati determinanti?

«Gli studi sono stati dichiarati inutilizzabili ai fini della decisione in quanto formati in un’epoca successiva alla scelta del rito abbreviato da parte degli imputati. Però, dal punto di vista civilistico, saranno fondamentali perché sono la fotografia attuale della contaminazione e il ministero dell’Ambiente ha già richiesto all’Arta e all’Ispra di attivarsi per ulteriori controlli. Dai documenti che ho depositato si desume che la contaminazione è in aumento anche al di fuori della discarica e si propaga a matrici ambientali in superficie come scoperto nella corteccia degli alberi».

E nella famosa mela avvelenata trovata in un terreno di Bussi, giusto?

«Sì, aver trovato una mela avvelenata ha fatto arrabbiare le difese».

Il caso approderà in Cassazione: ha il timore del terzo grado di giudizio?

«La sentenza dell’Aquila mi sembra equilibrata, e tanto, sotto il profilo penale. Anche se non ha riconosciuto il disastro doloso, ha riconosciuto la colpa con previsione. E sempre manifestando un grande equilibrio, la Corte ha differenziato le posizioni degli imputati mentre, in primo grado, questo non era stato fatto».

La sentenza di primo grado era stata una doccia gelata, cosa ha pensato prima che fosse letta la sentenza di appello?

«Ero pessimista ma solo per carattere. Però, ci tenevo tanto a questo processo: all’inizio, per me era un processo come un altro, poi, mi sono appassionata ai temi ambientali e il mio legame con l’Abruzzo, grazie all’incarico in Regione, si è approfondito: pertanto, il mio stato d’animo era condizionato da questo coinvolgimento affettivo. Poi, dopo il pessimismo, la gioia e la soddisfazione sono state ancora maggiori».

Se qualcuno si aspetta che a Bussi cambierà qualcosa improvvisamente, resterà deluso. Ma ora cosa accadrà?

«Sarà compito delle istituzioni, a partire dal ministero dell’Ambiente, dalla Regione e dei Comuni coinvolti, con l’appoggio delle associazioni ambientaliste, avviare le ulteriori fasi. Auspico che non prevalga il contenzioso su tutto ma che, finalmente, emerga una tendenza diversa: cercare un punto di incontro per passare subito alla bonifica, è la cosa più importante».

Azzardare tempi è impossibile?

«Sì, ora è impossibile. Ma le azioni vanno fatte nell’immediato. Perché il tempo che passa fa male a tutto: fa male all’ambiente perché, a Bussi, la contaminazione aumenta giorno dopo giorno; fa male alla fiducia delle persone che aspettano risultati dopo una sentenza di condanna; fa male alle istituzioni che hanno il dovere di attivarsi subito. La Regione aveva chiesto mezzo miliardo di euro di risarcimento: ora dobbiamo andare a prenderci questi soldi che saranno usati per la salute dei cittadini e il welfare».

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