Cocaina per la “Pescara bene”, tra gli spacciatori l’ombra dei clan

Tra i 17 che rischiano l’arresto, Roberto Martelli, in carcere per traffico internazionale di stupefacenti e l’ex carabiniere Tarroni che «avrebbe tentato di riattivare i canali di rifornimento con la camorra»
PESCARA. Nelle carte dell’inchiesta su un grosso giro di spaccio di cocaina e crack anche a una clientela di insospettabili pescaresi (imprenditori, professionisti, ristoratori, commercianti, concessionari e via discorrendo che nei prossimi giorni verranno ascoltati dai carabinieri), oltre al vertice occupato dai tre albanesi «di spessore criminale», spiccano anche il pescarese Roberto Martelli e l’ex carabiniere Antonio Tarroni.
TRAFFICO INTERNAZIONALE
Martelli «può essere definito uno dei punti di riferimento per il tessuto criminale pescarese», si legge nella richiesta di misura della procura. «Attualmente si trova recluso nel carcere di Pescara dove sta espiando una pena definitiva di 17 anni per traffico internazionale di stupefacenti, ma nonostante tutto, per quanto attiene questa attività d’indagine, sebbene stesse attendendo l’arrivo del provvedimento di carcerazione, non ha esitato a rifornire di cocaina Moreno Sagazio e il fratello Aldo. È una figura intermedia e ben collegata nella catena distributiva, con coinvolgimento in carichi rilevanti». Martelli viene descritto come un personaggio accorto e selettivo nei rapporti commerciali; «non risulta coinvolto direttamente in dinamiche impulsive o violente, preferisce mantenere un ruolo da fornitore autorevole, a distanza dalle piazze di spaccio».
RUSTELL E PROSCIUTTO COTTO
Altro personaggio di spicco viene indicato Antonio Tarroni, detto “Lo zio”: è stato in servizio nell'Arma dei carabinieri in provincia di Napoli per 10 anni con il grado di maresciallo, arrestato e poi condannato dalla Corte d’Appello di Napoli a giugno del 1995 a 3 anni e 4 mesi per tentata rapina. «Le intercettazioni hanno rivelato un linguaggio criptico: la cocaina è indicata come “rustell”, il crack come “prosciutto cotto”, mentre “sughetto” serve a definire le quantità».
IL CAVALLO DI TROIA
Gli inquirenti scrivono di lui che «si è dimostrato un vero e proprio “cavallo di Troia” nel contesto investigativo, grazie ad una estesa rete di relazioni con ambienti criminali pescaresi e campani, ha instaurato contatti diretti con grossisti dello spaccio». Stando alle indagini, Tarroni avrebbe «tentato senza successo di riattivare i canali di rifornimento con la camorra napoletana: sono state intercettate conversazioni con la sua ex compagna e già reggente della piazza di spaccio di Forcella per il Clan Giuliano, gravata da plurimi precedenti anche per associazione mafiosa». Altri contatti non andati a buon fine sarebbero stati tentati con il Clan dei Casalesi. «Lo spessore criminale e le modalità operative adottate», si legge negli atti, «l'uso di prestanome, la frammentazione degli approvvigionamenti e la pressione psicologica sui fornitori, evidenziano non solo la professionalità dell'indagato, ma anche il concreto pericolo di inquinamento probatorio e la rilevanza delle esigenze cautelari».
15MILA EURO AL MESE
Ma anche gli altri personaggi coinvolti in questa complessa indagine condotta dai carabinieri del Nor di Pescara, che conoscono a fondo il territorio battuto da questi soggetti, non sono da meno. Bruno Creati, «figura di riferimento di una articolata rete di spaccio attiva in Pescara e dintorni, caratterizzata da una modalità di operare improntata a continuità, discrezione e gestione familiare del traffico di sostanze. Le captazioni evidenziano la sua capacità di coordinare un flusso costante di piccole e medie cessioni giornaliere, con volumi che, stimati su base mensile, superano agevolmente i 10/15 mila euro». Tutto, per lui, è subordinato alla droga. Significativo l’episodio in cui Creati doveva vendere una sua vecchia auto: la volevano in due, uno offrì 80 grammi di cocaina, ma lui la diede a uno che gliene offrì 100. Ma i più pericolosi restano comunque gli albanesi.
PERSONALITÀ VIOLENTA
«La personalità criminale di Kevi Kereci si connota inequivocabilmente per tratti di violenza e intimidazione: non esita a ricorrere alle maniere forti per imporre il pagamento di partite di stupefacente o per far valere la propria autorità all’interno della cerchia di spaccio». Per quanto riguarda Hergys Myrtaj, la procura scrive che «la mole di stupefacente da lui gestita varia dal singolo grammo destinato al consumatore occasionale fino a carichi di mezzo chilo, a riprova di un volume di affari considerevole e di una gestione flessibile della clientela». L'utilizzo di un trojan sul suo cellulare ha permesso di svelare importanti dinamiche interne: «In qualità di “addetto alla distribuzione” per conto di Elidon Ngjela, Myrtaj cura la logistica dei carichi, ricezione, trasporto e smistamento a sub-fornitori come Kereci, che a sua volta si occupa del confezionamento tecnico e del coordinamento dei dettaglianti di zona».
Si resta ora in attesa della decisione del gip Mariacarla Sacco sulla applicazione delle misure richieste dalla procura.

