Dragaggio mai avviato, Testa ha speso 2 milioni

Dopo le dimissioni del commissario, le casse sono vuote e il porto è ancora insabbiato

PESCARA. Quattro milioni e mezzo di euro spesi per appalti assegnati e mai partiti, lavori che non potevano essere risolutivi, carotaggi, analisi, progetti, boe intelligenti e correntometri. Quattro milioni e mezzo spesi per ottenere come unico risultato la chiusura del porto e la condanna a morte di un intero comparto economico. Mette i brividi la contabilità del mancato dragaggio, soprattutto perché il saldo monstre nei prossimi mesi potrebbe lievitare ancora.

Di dati ufficiali su quanto si è speso finora per cercare di risolvere il problema dell'insabbiamento del porto non ce ne sono. L'unica possibilità per farsi un'idea della cifra totale impegnata è sommare le singole voci di spesa e cioè i due milioni di euro impegnati dal commissario al dragaggio Guerino Testa per i lavori mai iniziati, il milione di danni chiesti dalla ditta Gregolin e l'altro milione e mezzo già speso per i lavori fatti a inizio 2011 che sono stati portati a termine ma non sono serviti a risolvere il problema. Voci che sommate danno un totale di quattro milioni e mezzo di euro. Una cifra che non può essere altro che parziale, visto che alcune voci, come le penali da pagare, non sono state ancora quantificate.

LA PRIMA FASE.
L'amara telenovela del dragaggio inizia un anno e mezzo fa. Dopo mesi di annunci e false partenze nell'autunno del 2010 il Provveditorato alle opere pubbliche fa una gara per scegliere la ditta che dovrà dragare il porto, che dopo quattro anni di abbandono si sta trasformando in una palude impraticabile. La gara, importo 500 mila euro finanziati dalla Regione, viene vinta dalla ditta Nicolaj. Ma i fanghi, si dice al tempo, sono inquinati. Per cui vanno dragati, stoccati a terra e portati in discarica. I lavori riescono a partire a febbraio. Ma in un mese e mezzo si portano via appena 2 mila metri cubi.

IL NUOVO APPALTO.
Il Provveditorato stanzia altri 1,9 milioni di euro e con una procedura d'urgenza affida di nuovo i lavori alla ditta Nicolaj che questa volta deve dragare 20 mila metri cubi. Intanto la situazione dello scalo peggiora di giorno in giorno. Oggi si incaglia un peschereccio, domani una petroliera. A maggio 2011 i lavori si fermano definitivamente: i carabinieri del Noe sequestrano per irregolarità la discarica in cui vengono smaltiti i fanghi, Nicolaj alza bandiera bianca. Degli 1,9 milioni del secondo appalto, in cassa ne sono rimasti 800 mila. Il porto è ancora impraticabile ma nel frattempo 1,5 milioni di euro sono andati via.

IL COMMISSARIAMENTO.
Si ricomincia da capo, con un porto sempre più malridotto e le tasche più leggere. Per il dragaggio, si dice, serve un commissario straordinario. Adriano Goio, già commissario di bacino del fiume, rifiuta. Entra in scena il presidente della Provincia Guerino Testa.. Nelle casse della sua struttura ci sono 2 milioni di euro stanziati dalla Regione. Il problema è che per dragare e smaltire a terra i fondi sono troppo pochi. Il commissario a quel punto tenta la carta dello smaltimento in mare: se i fanghi non sono inquinati si possono buttare in acqua, ma per stabilirlo servono le analisi.

LE ANALISI.
Prima delle analisi si devono fare i carotaggi, che vengono affidati (a pagamento) all'istituto zooprofilattico di Teramo. I materiali, poi, vengono mandati all'Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente, alla quale il commissario per contratto deve affidare le analisi. Analisi che, spiega Testa, costano tra 500 e 600 mila euro. I fanghi sono puliti, dicono i risultati. A settembre anche il Ministero dell'Ambiente, sulla base di quelle analisi, autorizza lo sversamento in mare. A questo punto parte l'iter per i lavori di dragaggio della darsena e, contemporaneamente, partono anche i prelievi per analizzare i fanghi della canaletta, che andrebbe dragata dopo la darsena. L'università dell'Aquila appronta il progetto, e anche per questo lavoro la struttura commissariale impegna delle somme.

IL CORRENTOMETRO.
L'appalto per ripulire la darsena viene vinto dalla ditta Gregolin di Venezia. E il commissario impegna altri 780 mila euro, ai quali vanno sommati gli onorari del responsabile unico del procedimento e del suo vice. Non l'onorario di Testa, che, dice oggi dopo essersi dimesso, «non ho mai percepito e non intendo percepire». Nel frattempo il Ministero impone delle nuove procedure di monitoraggio per i lavori. E il commissario è costretto a comprare un correntometro, una strumentazione talmente rara che deve arrivare dalla Svezia, e delle boe intelligenti.

IL SEQUESTRO.
L'inizio dei lavori è fissato per il 12 dicembre, ma la draga Gino Cucco della ditta Gregolin fa appena in tempo a mettere in stiva il primo carico. Poche ore dopo l'inizio dei lavori i carabinieri del Noe su mandato della Procura distrettuale Antimafia dell'Aquila sequestrano tutto. Secondo gli investigatori i fanghi del porto sono inquinati con Ddt e Naftalene, quindi non si possono sversare in mare. Per scoprirlo anche la Procura ha fatto fare le sue controanalisi. E chiesto una consulenza a un esperto.

DRAGA DANNEGGIATA.
La Gino Cucco resta ormeggiata in porto, a disposizione. A febbraio, in un giorno di maltempo, rompe gli ormeggi e va a sbattere contro la banchina. La Gregolin manda una richiesta di risarcimento danni da un milione di euro. E non è detto che il contenzioso si chiuda così, perchè i 780 mila euro di lavori alla Gregolin non sono stati pagati, ma la ditta potrebbe chiedere il pagamento della penale per il recesso dal contratto oltre ai danni subìti dalla draga e al mancato guadagno per i giorni in cui l'imbarcazione è rimasta ferma sotto sequestro.

IL VALZER DELLE ANALISI.
Ad oggi, sei mesi dopo il sequestro, non si sa ancora se i fanghi del porto siano o meno contaminati. Intanto il porto è praticamente chiuso. Il traffico commerciale è azzerato, la marineria in ginocchio. Nel corso dei mesi l'Arta, l'Isspra e il laboratorio che ha agito per conto della procura hanno analizzato i risultati, prodotto documentazione, ripetuto i test. Ma una risposta univoca ancora non c'è. E le analisi, che hanno una validità limitata nel tempo, anche si rivelassero buone sarebbero ormai inutilizzabili. Nel frattempo dipendenti pubblici e privati hanno impiegato il loro tempo, che poi significa soldi, per chiarire il mistero. Le ultime notizie dicono che l'Arta farà nuove analisi con l'Isspra. Altre migliaia di euro che usciranno dalle casse pubbliche prima che un solo granello di sabbia venga mosso.

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