Dubbi e timori: 500 cittadini chiamano ogni giorno il 118 

Di Sigismondo, coordinatore infermieristico: c’è tanta ansia, ci chiedono qualunque cosa E gli operatori sono allo stremo: è pesante per i ritmi di lavoro, ma anche psicologicamente

PESCARA. Sono stremati ma non si fermano. Al 118, prima interfaccia dei pescaresi, il telefono suona senza sosta. All'inizio dell'emergenza arrivavano circa 2.000 chiamate al giorno. Solo ora il ritmo si sta allentando, si è scesi a 445, ma la mole di lavoro è infinita. Ne parla Enrico Di Sigismondo, coordinatore infermieristico Suem 118 Pescara e dell'area emergenza. E lo fa nel giorno in cui il numero dei morti sale ancora, un 64enne e un 71enne, e tra i nuovi contagiati ricoverati c’è un ragazzo di 23 anni. «Rispetto al resto della regione», spiega Di Sigismondo, «Pescara avverte di più il problema del Covid, essendo molto popolata, e perché tutti si rivolgono al nostro ospedale. I numeri di Pescara (576 contagiati ndr) sono uguali a quelli delle altre tre province messe insieme. Ma siamo al limite, dal punto di vista lavorativo e psicologico. Siamo operativi in maniera ininterrotta per 12-13 ore al giorno, non si pensa più ai recuperi, e si va avanti quasi a ciclo continui. Siamo arrivati allo stremo, anche se tra noi c'è molta solidarietà», dice riferendosi a medici, infermieri e autisti (un centinaio tra Pescara, Penne e Popoli).
Chi chiama il 118, cosa chiede?
Qualsiasi cosa, visto che di fatto siamo stati l'unico numero di riferimento, a Pescara. Chiedono se possono uscire a fare la spesa, se devono fare il tampone, quanto tempo serve per il risultato del tampone, e poi informazioni sui pazienti ricoverati. Ora però è stato attivato un numero verde per l'emergenza Covid, gestito da personale sanitario della Asl, ed è questo: 800556600. Ovviamente a noi resta il trattamento dei pazienti da raggiungere a casa. E quando entriamo in una casa non sappiamo se di fronte abbiamo un caso positivo o meno, le patologie possono notarsi poco e niente, si manifestano dopo. Ma poi passano due giorni e li vedi intubati. E penso a un ragazzo di poco più di vent'anni: quando lo abbiamo preso respirava a mala pena e il giorno dopo era intubato. Queste cose ti toccano. Così come ti tocca il fatto che muoiono da soli. Cerchiamo di dare informazioni ai parenti che non possono vederlo, ma non è sempre facile individuare il reparto, essendoci stata una conversione di alcune aree dell'ospedale in reparti Covid.
E l’ansia, quanta ce n'è?
Molta ansia, molta paura, nelle telefonate. E vale anche per noi, che assorbiamo tutte queste emozioni e non abbiamo la possibilità di scaricare quello che ci arriva. È una cosa che ti prende, ti deprime, ti abbatte.
Cosa si può fare?
Servirebbero molti psicologici, anche per il nostro personale. Vedo piangere gli infermieri a fine turno e c'è un livello di irascibilità molto alt. Ma ora non c'è tempo per farci assistere.
E come state?
Per ora stiamo tutti bene, a parte il focolaio che c'è stato a Penne. Tutti gli operatori sanitari stanno facendo il tampone ma c'è un certo timore perché chi sta lavorando non si vuole fermare, vuole essere di aiuto.
Il sistema funziona?
Sì, per quello che abbiamo, sì. L'ideale sarebbe avere un ricambio, ma sarebbe stato necessario fare un concorso per infermieri in passato. Ogni mese siamo abituati a fare 30-40 ore di straordinario. In questi mesi forse siamo a 90-100, e ci riusciamo perché siamo abituati.
Le vostre famiglie?
Abbiamo paura del contagio per cui alcuni si sono isolati dalla famiglia e si sono messi in auto-quarantena.
Di cosa avete bisogno?
Un sostegno psicologico, anche dalla città. Stare un mese chiusi in ospedale e tornare a casa solo per dormire non è facile. Sul viso degli infermieri ci sono i segni dei dispositivi di protezione.
Cosa vi fa ancora sorridere?
Cerchiamo di sdrammatizzare, tra noi. Essendo bardati con i dispositivi non ci riconosciamo più. E ci chiediamo "Ma chi sei?". Siamo molto stressati ma ci confortiamo e cerchiamo di essere tutti solidali.
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