Femminicidio Lettomanoppello, Mancini si difende dal carcere: «20 bicchieri di grappa, ero ubriaco»

Tra le accuse più gravi, l’omicidio dell’ex moglie. Un colpo arrivato al cuore: «I colpi sono partiti per sbaglio, pensavo di aver visto mio figlio in piazza»
LETTOMANOPPELLO. «Mi sono fatto venti bicchierini di grappa, i colpi mi sono partiti per sbaglio». Antonio Mancini, 69 anni, parla davanti al suo avvocato per la prima volta dopo aver ucciso con un colpo di pistola dritto al cuore l’ex moglie Cleria Mancini, che di anni ne aveva 65. Detenuto da oltre 72 ore nel carcere di San Donato, a Pescara, Mancini racconta «tranquillo e con voce pacata» quello che è accaduto giovedì scorso, quando all’ingresso del Corso di Lettomanoppello ha premuto il grilletto della sua Beretta Parabellum e, con un solo colpo, ha spezzato per sempre la vita di Cleria. Ma non era questo il suo intento: è ciò che racconta con una tranquillità agghiacciante davanti al suo difensore d’ufficio, l’avvocato Marcello Cordoma.
Il racconto del 69enne poco coincide con ciò che è realmente accaduto quel pomeriggio: l’uomo nega e dice di non ricordare persino di essere stato in piazza a Turrivalignani, dove i carabinieri lo hanno arrestato. Parole sconnesse e ambigue che però sembrano dare ancora più adito al ritratto di un uomo mentalmente instabile e imprevedibile. Omicidio, tentato omicidio aggravato nei confronti di un familiare, minacce e resistenza a pubblico ufficiale sono i reati contestati al 69enne. Tra ire, ossessioni e follie accumulate negli anni, giovedì pomeriggio Antonio ha sfogato «un medesimo disegno criminoso», scrive il pm Giuliana Rana. Domani mattina, alle 9, è attesa l’udienza di convalida dell’arresto dal carcere di Pescara.
IL FIGLIO IN PIAZZA - Mancini confessa che quel pomeriggio era in cerca di suo figlio Camillo. Tra di loro i rapporti erano incrinati da dieci anni, per via di una nuova relazione sentimentale che Mancini non aveva mai accettato. Sulla carrozzina elettrica, il cui motore è risultato poi manomesso, Mancini ha incontrato l’ex moglie e il nipote 13enne, al seguito di due cani per una passeggiata. Ma nella sua mente in piazza non c’erano solo loro due. «Mi sembra di aver visto mio figlio», dice ieri mattina davanti al suo avvocato. Peccato che per le cronache il figlio Camillo arriverà sul posto poco dopo, di corsa, dopo la notizia della morte della mamma. E il racconto si confonde ancora e cambia più volte versione. «Non volevo ucciderla», dice ancora riferendosi all’ex, «avevo litigato con mio figlio che era in piazza».
«I COLPI PARTITI» - Mancini ha brandito la pistola semiautomatica davanti al nipotino e alla donna, dopo «averla minacciata», scrive il pm, «con frasi del tipo: Vi uccido tutti». Qui, un colpo secco «che ne cagionava la morte». Il proiettile, calibro 9, ha raggiunto il cuore, dice l’esito dell’autopsia eseguita venerdì scorso fino a tarda sera dal medico legale Davide Girolami. E su questo passaggio parla ancora Mancini, fisicamente sofferente, ma spaventosamente lucido con la mente. «I colpi sono partiti per sbaglio», spiega all’avvocato. Per il 69enne, pluripregiudicato, il colpo fatale che ha ucciso Cleria sarebbe stato un errore, esploso mentre scarrellava la pistola risultata rubata nel 2011 ad un agente di polizia penitenziaria nel carcere di Pescara che non la trovò più nel suo armadietto.
«AVEVO BEVUTO LA GRAPPA» - Mancini prova a dare anche una spiegazione al suo stato psicofisico. Racconta che quel pomeriggio non era lucido per via di «venti bicchierini di grappa». Dopo l’arresto, tra i primi accertamenti gli esami alcolemici, con esito negativo, e tossicologici, per cui si dovrà ancora attendere il risultato. Durante il colloquio, l’uomo killer non fa riferimento a ostilità nei confronti dell’ex moglie, verso cui ha sparato, e nei confronti del 13enne, salvo per miracolo e verso cui era «rivolto un altro colpo». Il 69enne «compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte» del nipote scampato a quel secondo proiettile per pochi centimetri, «perché attingeva il lunotto posteriore dell’automobile nei pressi della quale il minore si era posizionato».
POI IL VUOTO - La fuga sulla carrozzina elettrica verso il bar Bivio di Lettomanoppello dove è entrato e ha brandito la pistola in cerca del suo vicino di casa, poi il caos in un altro bar a Turrivalignani e nel ristorante “La rosa dei venti” dove si è barricato dentro seminando il panico. E ancora il colpo esploso in piazza, verso la chiesa di Santo Stefano, e i tre proiettili sparati verso l’auto del suo vicino. Di tutto questo il 69enne dice di non ricordare nulla, come se il suo cervello avesse staccato la spina e fosse rimasto fermo al Corso di Lettomanoppello. Un lasso di tempo e di «azione esecutive del medesimo disegno criminale» in cui Antonio Mancini avrebbe potuto continuare la sua strage, con altri due caricatori in tasca e la mente alienata dal quel «neutrone (neurone, ndr) piccolo piccolo che sta invadendo il mio cervello», come diceva più volte nelle chat private ai suoi amici.
L’UOMO INSEGUITO - Ciò che Mancini sembra al momento aver rimosso è tutto ciò che è accaduto dopo aver sparato all’ex moglie, ma ogni spostamento è stato ripreso e ricostruito dalle telecamere della città che lo hanno immortalato mentre brandisce la pistola davanti ai clienti al bar di Lettomanoppello e poi ancora in quello di Turrivalignani in cui punta la pistola verso un 65enne. «Lo spingeva allontanandolo, per poi inseguirlo», ricostruiscono gli inquirenti che hanno seguito il tragitto del 69enne fino al ristorante della piazza di Turri. All’interno, l’uomo ha puntato di nuovo la pistola verso quattro clienti, chiedendo ancora di sapere dove fosse il 65enne. E così è esplosa di nuovo quella rabbiosa follia: Mancini è uscito dal ristorante e ha sparato un colpo verso la chiesa, e tre verso l’auto del 65enne, continuando a delirare e minacciare «di una grave danno ingiusto».
LE PROVOCAZIONI - Con i carabinieri delle Compagnie di Popoli e Pescara che avevano circondato la piazza per fermare l’uomo, Mancini ha aperto la sfida. Da anni era ossessionato dalle istituzioni, sentendosi e costruendosi da solo una narrazione vittimistica nei confronti dello Stato e in particolare verso le forze dell’ordine. Ingiurie e minacce di morte che negli anni Mancini annotava quotidianamente sul suo diario social. E così giovedì non si è sottratto a provocare. Davanti ai carabinieri ha brandito l’arma, sfidandoli ad «uscire allo scoperto» e ad «avvicinarsi» a lui. Ed è in un momento di distrazione che i carabinieri sono riusciti a bloccarlo e disarmarlo, mettendo fine a quel pomeriggio di sangue e terrore.
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