Furto messo in scena e peculato: condannato l’ex direttore Poste

Pena di quattro anni e quattro mesi per Marinucci, ex responsabile della filiale di via Tirino. Scatta l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Sotto accusa un ammanco di 107mila euro
PESCARA. Arriva la condanna a 4 anni e 4 mesi di reclusione per l’ex direttore delle Poste di via Tirino, Enrico Marinucci, accusato di peculato e simulazione di reato. I giudici del collegio si sono discostati di poco dalla richiesta della pubblica accusa che era di 5 anni di reclusione per quel furto che si verificò nell’ufficio diretto da Marinucci il 13 novembre del 2021. Alla condanna si aggiungono le pene accessorie decise dai giudici: interdizione di 5 anni dai pubblici uffici; tre anni per i rapporti con la pubblica amministrazione, e poi il risarcimento alla parte civile, Poste Italiane, che dovrà essere deciso in sede civile.
Gli avvocati difensori, Vincenzo Di Girolamo e Gianfranco Iadecola, si erano spesi per contrastare la requisitoria della pubblica accusa, sostenendo la concomitanza di una serie di problemi tecnici che avevano impedito la segnalazione alla sede centrale della sicurezza che si trovava a Napoli; il mancato funzionamento dell’allarme sonoro e altre questioni squisitamente tecniche. I difensori avevano anche battuto molto sulla funzione dell’imputato che, a loro dire, non era quella di pubblico ufficiale: una tesi che avrebbe fatto venire meno il reato di peculato e fatto emergere quello di appropriazione indebita che però, in mancanza di una querela, sarebbe caduto nel nulla facendo scattare il non luogo a procedere.
Ma il collegio ha tenuto invece in considerazione le argomentazioni della pubblica accusa sostenuta dal pm Gennaro Varone che aveva parlato di «un caso singolare»: un furto senza scasso né alla porta d’ingresso né a quella della cassaforte che insospettì subito gli investigatori della squadra mobile che si fecero autorizzare ad effettuare una perquisizione nella stanza del direttore. E qui vennero fuori i primi 30mila euro: mazzette ancore legate con le fascette della Banca d'Italia, nascoste in un faldone. Ed allora, senza perdere tempo gli investigatori si recarono nell'abitazione dell’imputato dove vennero ritrovati altri 36mila euro impacchettati con le stesse fascette. La difesa aveva sostenuto che il direttore voleva soltanto cambiare delle banconote vecchie con quelle nuove di zecca, ma la tesi non ha trovato accoglimento. E parlando del quadro elettrico manomesso, secondo l’accusa dallo stesso imputato che all’ora del furto si trovava ancora dentro l’ufficio postale, circostanza che impedì la chiusura della cassaforte, il pm ha detto: «Se ha agito così è perché voleva rendere plausibile l'effrazione da parte di estranei, che peraltro solo da Marinucci avrebbero potuto sapere che le telecamere erano state oscurate dalla mancanza di energia elettrica e che il caveau era aperto». E poi la spiegazione della causa che avrebbe «costretto» l’imputato a simulare quel furto. Marinucci fino ad allora non aveva preso un solo giorno di ferie, tanto che i vertici di Poste gli imposero un periodo di riposo e il giorno dopo il colpo sarebbe arrivato un suo sostituto che avrebbe immediatamente scoperto l’ammanco che la parte civili ha quantificato in 107mila euro.
Le difese hanno cercato poi di sollevare una serie di dubbi su quella cancellazione totale degli eventi da parte della sede centrale della sicurezza, questione che non sarebbe mai stata approfondita, insinuando appunto il dubbio che qualcun altro, mai identificato, potrebbe aver agito da remoto per mettere fuori uso i sistemi di sicurezza. Ma il collegio ha ritenuto non plausibili le tesi difensive e deciso di condannare l’ex direttore delle Poste.