Garofalo sfida il giudice e i pm: «Vicino ai clan? Un’invenzione»
Rigetta le accuse il napoletano finito in carcere nell’inchiesta sugli affari con la famiglia Di Natale L’avvocato difensore: «Su questa vicenda c’è molto da dire, ma lo faremo nelle sedi opportune»
PESCARA. Spavaldo, sicuro di sé, per nulla intimorito dal giudice e dal pm che lo stavano interrogando, e dal suo stato di arrestato, ieri il napoletano Pasquale Garofalo ha voluto rispondere all’interrogatorio di garanzia a seguito della misura cautelare in carcere firmata dal gip Francesco Marino, per autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta e intestazione fittizia di beni e società, in relazione al suo ingresso nella gestione del ristorante Le Terrazze Roof Garden di Pescara con il presunto utilizzo di denaro di provenienza illecita. Assistito dai suoi legali, il campano Antonio Pollio e l’aquilano Antonio Valentini, l’indagato, personaggio vicino alla criminalità campana e calabrese, stando almeno a quanto si legge nella misura cautelare, avrebbe risposto da napoletano verace alle domande, prendendo subito le distanze dalle organizzazioni criminali organizzate: «Una invenzione dei giornalisti», avrebbe detto.
Avrebbe anche raccontato succintamente la sua conoscenza con la famiglia Di Natale che gestiva il ristorante, dichiarando di essere venuto per la prima volta a Pescara in occasione del trasferimento del figlio, che milita nella guardia di finanza, e per l’occasione sarebbe andato a cena a Le Terrazze. E lì avrebbe conosciuto il titolare e sarebbe venuto a conoscenze delle difficoltà economiche dell’intera famiglia. Per cui decise di entrare in società (anche se nelle carte dell’inchiesta risulterebbero contatti stretti con un altro imprenditore della ristorazione che opera da anni a Pescara e che gli avrebbe messo a disposizione anche il suo contabile) e investire i famosi 800mila euro in contanti (posti sotto sequestro dalla procura), che sarebbero stati usati per entrare nella società, ma anche per ripianare i debiti di Di Natale. Una versione romanzata che probabilmente per nulla convince i titolari dell'inchiesta, il procuratore aggiunto Anna Rita Mantini e il sostituto Luca Sciarretta, che avrebbero una corposa documentazione che supporterebbe una tesi ben diversa, più vicina certamente a un ingresso silenzioso nel tessuto economico pescarese, mettendo a frutto le sue grosse disponibilità economiche raccolte, stando almeno alle inchieste milanesi che l’indagato si è appena lasciato alle spalle, attraverso l’acquisizione di società gestite da prestanome e utilizzate per fare soldi illecitamente. Questo, al momento, il teorema dell’accusa.
Ma il suo legale, Pollio, è stato lapidario all’uscita del carcere di San Donato dopo l’interrogatorio, peraltro durato abbastanza poco: «Su questa vicenda c’è molto da dire, ma lo faremo solo nelle sedi opportune». Vale a dire cercheremo di smontare gli elementi che quantomeno avrebbero giustificato l’arresto del napoletano. Sui soldi (si parla di un capitale accumulato di oltre 60 milioni di euro) Garofalo avrebbe glissato senza dare spiegazioni, affermando, in sintesi, di avere tanti soldi a disposizione e di investirli come meglio crede. Avrebbe parlato, così come viene anche riportato negli atti, nelle tante intercettazioni ambientali e telefoniche, molto male sia della famiglia Di Natale, sia dei proprietari dell’Esplanade. «Gentaccia», vengono considerati i Di Natale: il padre Adamo Di Natale («un omino»), suo figlio Federico («incapace anche di fare gli imbrogli»), entrambi indagati, e la moglie di Adamo, Anna Paola Cavaliere, agli arresti domiciliari insieme al contabile Enzo Mazzocchetti e alla gestrice del ristorante, Laika D’Agostino, anche loro ai domiciliari, che verranno interrogati venerdì.
Cavaliere, secondo la procura, è la testa di legno, l’amministratore di comodo di Garofalo che l’avrebbe messa alla guida della Floor Six, la società che gestisce il locale, proprio perché lui era considerato un «mafioso», e per accontentare Di Natale (dandole 500 euro al mese). Insomma, un interrogatorio di garanzia che non avrebbe apportato nulla di nuovo alle indagini: Garofalo avrebbe detto tutte cose che erano già nelle carte, senza aggiungere nessun elemento per contrastare le pesanti accuse che gli vengono mosse dai magistrati. Non appena i suoi difensori prenderanno atto della corposa documentazione, potranno decidere se fare o meno ricorso al tribunale del riesame per la sua scarcerazione o per un affievolimento della misura.
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