Gli «aiuti su misura» per 90mila attività chiuse in Abruzzo 

Dalle coperture sui prestiti al “congelamento” dei fallimenti Le note esplicative del Dpcm per stabilire come muoversi

L’AQUILA. Il cordone di sicurezza è per professionisti, artigiani, piccole imprese e grandi fabbriche. E il ministro Teresa Bellanova, alla luce delle prime polemiche, si è affrettata a garantire che anche il mondo agricolo riceverà la sua dose di aiuti. Un’iniezione di liquidità sostanziosa per ridare fiato all’economia fortemente colpita dall’emergenza coronavirus, tra serrande abbassate, cancelli chiusi, operai in cassa integrazione, blocchi dell’export e calo inevitabile dei consumi interni, fatta eccezione per alimentari e aziende di materiale sanitario o per l’igiene. Il decreto, così come pensato, oltre a liberare circa 750 miliardi di liquidità (se contiamo anche il Cura Italia), “congela” di fatto i fallimenti e “sterilizza” le norme del codice civile che impongono, in caso di forti perdite, la messa in liquidazione delle società sane prima dell’epidemia. In più rinvia a settembre 2021 il nuovo codice per le crisi. Lo schema prospettato dal governo, così come quello pensato per le grandi imprese attraverso Sace, avrà bisogno comunque di un preventivo ok di Bruxelles, che dovrebbe essere rapido: una volta pubblicato il decreto Salva imprese in Gazzetta ufficiale – e partita la notifica – potrebbero bastare 24 ore per avere il via libera dell’Antitrust Ue che, con le comunicazioni di inizio aprile sugli aiuti di Stato ha aperto alla possibilità, subito sfruttata dall’Italia, di concedere garanzie fino al 100%. Ovviamente si aspettano le note esplicative del Dpcm per capire come muoversi, per esempio nel caso delle banche. Quello che spaventa commercialisti e consulenti del lavoro è l’ostacolo burocrazia.
Con il Cura Italia era già arrivata una prima tranche di aiuti, tra stop a tasse e mutui e primi sostegni alla liquidità grazie al Fondo centrale di garanzia, che ora, con una dote che salirà a fine anno a 7 miliardi, potrà aprire il suo ombrello alle imprese. Anche in Abruzzo dove l’analisi dei numeri è impietosa. Il barometro della crisi economica in regione viene fornito dal Centro studi Cresa, sulla base della banca dati Stockview del Sistema informativo Infocamere: sono 90.607 le imprese che hanno sospeso l’attività in Abruzzo e sono 263.459 i lavoratori fermi. Una fetta importante del mondo imprenditoriale regionale quantificabile nel 60,9% delle imprese e nel 61,4% del totale degli addetti. Su scala provinciale, L’Aquila e Pescara emergono per quota di imprese chiuse sul totale di quelle presenti sul territorio, rispettivamente il 65% e il 65,3%, mentre Teramo e Chieti rilevano il maggior numero di addetti attualmente non operativi, 63,9% e 62,7%.
Gli effetti del Decreto Mise del 25 marzo scorso, emanato dal governo per contenere e gestire l’emergenza epidemiologica, hanno colpito, in modo differente, i diversi settori economici.
Alla sospensione completa delle attività immobiliari e di quelle artistiche, sportive e di intrattenimento si è sommata la chiusura quasi totale delle aziende che operano nel campo di servizi (94,0%), di alloggio, accoglienza e ristorazione (92,9%), dell’estrazione di minerali (88,6%), del commercio (86,6%) e delle costruzioni (76,9%); 24.544 le aziende ferme a Pescara, 23.655 a Chieti, 22.833 a Teramo e 19.575 all'Aquila; 86.648 i lavoratori a casa, in provincia di Chieti, 67.604 a Teramo, 62.476 a Pescara e 46.731 all'Aquila.
Restano attivi, invece, i comparti di sanità, istruzione, finanza e assicurazione, informazione e comunicazione, trasporti e magazzini, forniture elettriche, di gas e acqua. Secondo una prima stima dell’Istat, gli effetti economici saranno considerevoli tenuto conto che le imprese ferme, in Abruzzo, producono un fatturato pari a circa il 47% del totale regionale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA