HA VINTO IL FRANCO... MA TIRATORE
Impallinato. Tutto era stato concordato per l’ascesa al Quirinale di Franco Marini. Ha vinto invece il Franco Tiratore. Più di 200. Non solo tra le fila del Partito democratico ma anche tra i seguaci di Monti e Berlusconi. La mancata elezione di ieri è la logica conseguenza della non-vittoria di Bersani a febbraio. Una sconfitta incubata per 52 giorni ed esplosa in queste ore in tutta la sua virulenza; dal momento che senza una linea politica chiara e comprensibile non si possono vincere le elezioni, né tantomeno ci si può illudere di dar vita a un governo quale che sia o addirittura di conquistare il Colle più alto con un accordo indigesto dentro e fuori il proprio partito.
Lo sconfitto ha un nome e cognome. Pier Luigi Bersani. Ha esposto uno dei padri fondatori del Pd al cecchinaggio dei Grandi Elettori e al dileggio della piazza. Marini non lo merita. Per storia personale, impegno sociale e civile, età. Infatti non è in discussione il valore dell’ex presidente del Senato. Un galantuomo. E’ il modello politico sottinteso all’accordo stipulato tra B&B – Berlusconi e Bersani – che fa implodere il Pd e spinge i gruppi parlamentari a un lacerante dissenso. Persino la senatrice aquilana Stefania Pezzopane, conterranea di Marini, ha detto di aver votato contro preferendogli Stefano Rodotà.
Il segretario (per quanto tempo ancora?) del Pd ha sottovalutato ancora una volta due elementi. Il primo: l’esuberante voglia di aria fresca che agita l’Italia. Condensata nel successo elettorale del Movimento 5 Stelle. Alimentata – a volte con intelligenza, con cinica demagogia più spesso – dentro e fuori i luoghi della politica. Più che tra opzioni di destra o di sinistra, si viene giudicati dunque in base a scelte di volta in volta classificate “nuoviste” o “vecchiste”. Le prime sospinte dal degrado morale dei partiti e dalla loro pressoché nulla autorevolezza.
Bersani aveva lasciato credere che anche per la presidenza della Repubblica avrebbe tirato fuori dal cilindro “una bella sorpresa” come era già stato al Senato e alla Camera con Pietro Grasso e Laura Boldrini. Non ha voluto, non ha potuto, non ha saputo. E’ mancato il nome – nuovo, appunto – capace di garantire tutte o la maggior parte delle culture politiche presenti nel paese.
Si è lasciato sfuggire anche quello di Rodotà maliziosamente offerto da Grillo e Casaleggio con lo scopo, in parte riuscito, di turbare le coscienze del centrosinistra. Insomma, la lezione del 24 e 25 febbraio non è bastata: anziché imboccare la strada del’innovazione – ancorché di qualità – Bersani è rimasto prigioniero dei suoi schemi.
Secondo (non per importanza) elemento di sottovalutazione: Berlusconi concede solo abbracci mortali. L’accordo politico-istituzionale per il Quirinale si è manifestato con l’offerta da parte di Bersani di una rosa di candidabili; il Cavaliere ha sfogliato i petali e scegliendo Marini lo ha trasformato – come un re Mida all’incontrario – in quel che non è: un impresentabile. Con un effetto immediato: Berlusconi di nuovo protagonista, Bersani ancor più azzoppato. Il ch. e pregiudica nel prossimo futuro ipotesi di convergenze parlamentari a partire dalla cancellazione della “porcata” e dall’approvazione di una nuova indispensabile legge elettorale.
Si riprende con la terza e quarta votazione. In quest’ultimo caso per eleggere il successore di Napolitano basta la maggioranza relativa dei Grandi Elettori (504 voti). «Una fase nuova» ha detto Bersani ritirando il sostegno all’incolpevole Marini.
Un altro nome. Speriamo di maggior successo. E di indiscusso prestigio. Ma la ferita resta: una sinistra che in momenti cruciali come la scelta del capo dello Stato non sa parlare al suo popolo, sarà capace di parlare alla maggioranza degli italiani?
@VicinanzaL
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