Il geologo: «Sparite tante sorgenti del Gran Sasso»

Adamoli da anni denuncia i misteri e gli interventi che hanno ridotto del 60 per cento della portata

TERAMO. Leo Adamoli è il responsabile nazionale della sezione geologia ambientale della Società geologica italiana. Ma è anche uno che il Gran Sasso lo conosce bene e che da anni, tanti anni, conduce una serie di battaglie per evitargli ulteriori ferite, oltre a quelle già inferte.
«Il massiccio del Gran Sasso è la più importante idrostruttura che abbiamo in Abruzzo», esordisce l’esperto, «nel cuore ha un acquifero carsico che viene utilizzato da più acquedotti (oltre al Ruzzo, anche quello dell’Aquila e l’Aca, ndr) quindi alimenta 1,2 milioni di persone». Sono strutture in cui l’acqua è contenuta in rocce calcaree e si muove con una certa velocità per cui si sposta velocemente anche l’inquinamento.
«Dal 1969 hanno iniziato a realizzare il Traforo: le due gallerie hanno comportato la scomparsa di sorgenti ad alte quote e la riduzione 60% della portata delle sorgenti del Ruzzo. Non solo: abbiamo anche depauperato le riserve permanenti dell'acquifero. Un guaio veramente grosso». Il Traforo peraltro è stato ubicato «nella zona di alto idro strutturale: cioè il cuore dell'acquifero. Se volevamo fare il più grande danno possibile, l'abbiamo fatto, bastava farlo 15 chilometri più a ovest, sarebbe stato molto meglio». All’ultimazione delle due canne del Traforo, nell’83, segue la creazione del Laboratorio in cui sono stoccate sostanze ritenute pericolose, usate per gli esperimenti.
Adamoli ricorda la battaglia contro la terza canna del Traforo: «allora mettemmo in evidenza non solo la perdita di altra acqua, ma della qualità delle acque del Gran Sasso». Eventualità fugata da una sentenza del Consiglio di Stato del 2008.
Il geologo ricorda lo sversamento del 16 agosto 2002 del trimetilbenzene. «Tutto quanto succede nei laboratori o sulle canne autostradali si riflette sull’acquedotto. Peraltro secondo legge c’è una distanza di rispetto fra i punti di captazione e lo stoccaggio di sostanza pericolose che non viene rispettato», aggiunge, «la storia del trimetilbenzene dimostrò che le acque non erano al sicuro, come invece si diceva. Tanto che Berlusconi nel 2003 decretò lo stato di emergenza. e poi con i soldi del terzo traforo si avviarono i lavori di messa in sicurezza. Non abbiamo mai saputo esattamente che cosa è stato fatto».
I fatti dell’agosto 2016 pongono il dubbio che «i lavori non siano serviti a niente. Ora si ripete col Traforo. Lo stesso traffico veicolare è un problema: gli idrocarburi policiclici aromatici finiscono nelle acque. Ora occorre un sommovimento popolare contro quegli enti che avrebbero dovuto muoversi già da tempo. Il Ruzzo deve stare dalla nostra parte, deve pretendere che si facciano tutte le opere di messa in sicurezza. Nel 2004 come comitato tutela acque proponemmo che se ne occupasse un’equipe interdisciplinare di esperti di livello internazionale perché è un problema grosso. Occorrono mezzi e tempi adeguati per risolvere il problema definitivamente. E bisogna coinvolgere la società civile». Non a caso sull’argomento a giugno 2015 la società di geologia organizzò un convegno. (a.f.)
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