IL MINISTRO A GIORNI ALTERNI
Al governo e all’opposizione. Due contrapposte parti in commedia, lo stesso protagonista: Angelino Alfano. In nome delle odiate tasse, a partire dall’Imu sulla prima casa all’Iva in aumento al 22 per cento. Il vicepremier in quota Pdl della maggioranza coatta delle “larghe intese” ha smentito i ministri del suo governo, Saccomanni (tecnico) e Zanonato (Pd), che hanno svelato un’amara e indigesta verità: non ci sono coperture sufficienti per scongiurare l’applicazione dei due gravosi provvedimenti.
Servono 8 miliardi per congelare il punto in più sull’Iva e per non far pagare la tassa ai proprietari della prima casa. Tanti soldi. Dove recuperarli? Ecco che l’uomo di governo si fa facile portavoce dell’opposizione. Non dice cosa va tassato in alternativa oppure quali voci di spesa vanno tagliate per gli equivalenti 8 miliardi. Incassa così il comprensibile consenso di chi è già stremato da anni di sacrifici. Perché se appare insopportabile l’Imu per chi ha una sola casa (spesso gravata da mutuo), l’aumento indifferenziato dell’Iva è ancora più ingiusto: un punto percentuale in più sui prodotti di consumo non ha lo stesso valore per chi, con una rendita mensile di 10mila euro, può permettersi vacanze e oggetti di lusso e per chi, con 600 euro al mese, è costretto alla sopravvivenza.
Dunque, dove trovare gli 8 miliardi necessari? Per tagliare ulteriormente la spesa pubblica bisogna fare altre scelte dolorose e coraggiose al tempo stesso, decidere e quindi scontentare. Prendersi delle responsabilità. Che questo governo finora non sembra assumersi, considerandosi una parentesi tra una campagna elettorale appena conclusa ma inconcludente e la prossima che a volte sembra già iniziata ma chissà quando e come finirà.
Di opposizione e di governo. In Europa e in Italia. In nome del lavoro che non c’è e di cui c’è fame, perché equivale al pane quotidiano. Enrico Letta, capo del governo delle strane intese, arringa i ministri dell’economia e del lavoro di Italia, Germania, Francia e Spagna. Le quattro superpotenze dell’euro. «Non c’è più tempo» dice. Vallo a raccontare ai disoccupati e alla generazione 700 euro al mese.
Nel giorno il cui il debito pubblico tocca un nuovo record (2.041 miliardi), Letta rivendica una «Europa che non si affida solo ai ministri dei numeri e delle finanze». Giusto. Ma qual è la strada da imboccare? Più che opportuna l’idea di un vertice sul lavoro. Ma dal premier della seconda potenza industriale del continente ci si aspetta qualcosa in più di una analisi formulabile anche da tutti coloro che dicono, comodamente piazzati all’opposizione, che l’ assetto europeo non ci piace.
Lette a Alfano, l’inedita coppia di lotta e di governo. Obbligati a coabitare dalle circostanze, uniti da una solidarietà generazionale, costretti a occuparsi di un presente gramo con gli occhi vigili sul futuro (loro) politico. Se riusciranno a fidarsi l’uno dell’altro – a dispetto dei loro stessi fibrillanti partiti di appartenenza – forse avranno il coraggio di assumersi scelte gravose quanto strategiche. S. celte capaci di dare una scossa rivitalizzante all’economia. Senza preoccuparsi troppo dei sondaggi e delle elezioni che verranno. Il governo delle larghe intese non è nato forse per assumere quelle poche ma incisive decisioni che chi vive di propaganda non vorrà mai ammettere che vanno prese? E’ l’ora dei fatti. Dunque, più governo che opposizione.PS: è solo un caso, ma ieri la triestina Swg ha diffuso un nuovo sondaggio sul leader politico che raccoglie la maggiore fiducia degli italiani. Al primo posto si piazza Matteo Renzi con il 60 per cento scalzando Giorgio Napolitano, secondo con il 54. Letta è terzo con il 49% e Berlusconi solo quarto, ben distanziato, con appena il 26%. Alfano infine arriva sesto con il 23 dopo Vendola (25%). Può piacere o meno il metodo di affidarsi ai sondaggi, ma la leadership di Renzi è innegabilmente in crescita. Il premier in carica se ne faccia una ragione: dopo di lui non c’è spazio per un Letta-bis.
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