Il monito di Valentinetti «Pescaresi, attenti alla deriva razziale»

Calando questo messaggio nell’esistenza dei singoli, ognuno può vederci una possibilità di rinascita?L’impegno deve essere personale nel sanare fratture, nel saper affrontare una realtà in cui è...

Calando questo messaggio nell’esistenza dei singoli, ognuno può vederci una possibilità di rinascita?
L’impegno deve essere personale nel sanare fratture, nel saper affrontare una realtà in cui è difficile muoversi serenamente. Ma è compito nostro, dei pastori delle chiese e dei responsabili della cosa pubblica, far sì che ci siano situazioni di tranquillità nella vita delle persone. E penso soprattutto al lavoro, che angustia in particolare i giovani. Se non si creeranno situazioni diverse nella promozione del lavoro, molti emigreranno perché non trovano occupazione qui.
Pescara e la sua rinascita: su quali punti si deve fondare?
Ci sono dei punti fermi per rendere Pescara sempre più vivibile. Sicuramente sono importanti il fiume, da curare e guarire, e il mare, che deve diventare una risorsa per la realtà commerciale e turistica. Pescara è il polo centrale di un Abruzzo che può smistare in questa zona la sua potenzialità industriale e commerciale ed ha una riviera e una litoranea invidiabile. Queste vocazioni vanno rispettate.
In termini di opere, parla del porto?
Sì, il porto nuovo e la riattivazione di ciò che già esiste.
Che Pescara vede?
Una città che ha tante potenzialità, tanta brava gente e persone che hanno le capacità di portarla a un buon livello. Certo, ultimamente ci sono stati troppi interessi particolari che hanno monopolizzato la vita pescarese e questo non porta sviluppo.
Come se ne esce?
Rendendo Pescara una città aperta e accogliente. Qui c’è sempre stato posto per tutti, non è mai stata la città dell’esclusione e del respingimento.
Forse perché c’era più prosperità?
La prosperità viene dall’apertura, non dall’esclusione, più ci apriamo e più diventiamo prosperi. Se ci chiudiamo al nuovo ci saranno sempre meno attività, meno cultura e meno possibilità per una linfa vitale generatrice che non può venire da una società stanca.
Su cosa si può puntare?
Ad esempio sulle strutture che funzionano, aiutandole. Penso, all’ospedale di Pescara, le cui professionalità vanno valorizzate. E penso alla fondazione Paolo VI, di cui sono presidente, che fa un lavoro molto valido a favore di persone bisognose.
E il privato?
L’imprenditoria sta soffrendo e le prospettive che abbiamo davanti anche dal punto di vista fiscale non ci danno speranza. Il problema non è solo locale, ma nazionale e va affrontato con maggiore serietà.
Il mercatino etnico. È stato appena inaugurato ma Lorenzo Sospiri ha già annunciato di volerlo far chiudere in caso di affermazione alle prossime elezioni comunali?
Chi comanda fa legge. Chi ha governato in questo periodo e ha fatto un’analisi seria e approfondita della situazione e ha ritenuto che la scelta di aprire il mercatino fosse opportuna. Se nuovi amministratori lo vorranno chiudere, ognuno si assumerà le proprie responsabilità, anche in caso di aumento della conflittualità sociale. Se ci sono problemi di legalità attorno al mercatino, non si risolvono tenendolo aperto o chiuso ma facendo delle verifiche e tutto quello che è necessario perché la legge sia rispettata. Meglio che ci sia un luogo controllato costantemente delle forze dell’ordine rispetto a una illegalità diffusa. Non si dimentichi che la comunità senegalese è stanziale, a Pescara. Comunque resterà qui, e si propone positivamente dal punto di vista del lavoro e delle relazioni.
Proprio durante l’inaugurazione del mercatino etnico lei è stato contestato dai lavoratori della casa di riposo Fraternità magistrale che ha licenziato.
Non li ho licenziati io ma il giudice che non ha ritenuto più idonea la struttura e chi la conduceva e cioè la società Ares di San Severo.
Guardandosi attorno, non vede una deriva razziale?
Purtroppo sì, e ne ho parlato nella messa crismale auspicando la liberazione dei prigionieri, dei poveri, di chi è sempre più disprezzato, i barboni, chi non arriva alla fine del mese a causa per mancanza di lavoro, chi lavoro in nero, chi non è curato adeguatamente, chi è schiavo della paura che si sta impadronendo di tutti, magari propagandata da chi vuole speculare su di essa. C’è paura di tutto, perfino del vicino di casa, di quelli dell’altra parrocchia, dell’altra nazione e dell’altro continente. Paura del mondo intero e di chi non è come noi per razza, cultura, colore della pelle e religione. Paura che fa giudicare l’altro sempre un diverso, un clandestino, un terrorista che vuole invadere i miei diritti.
E come si combatte?
Liberandosene. E appellandosi alle energie di bene e di altruismo che sono scritte nel cuore di tutti. Energie che gli italiani hanno sempre avuto, ma che stiamo soffocando.
È tempo di campagna elettorale. Cosa dice ai candidati?
Di avere una chiara coscienza, di identificarsi non tanto in una ideologia ma in un’idea. I transfughi da un partito all’altro, da una zona all’altra, sono deleteri e condannabili. Se vogliono avere la fiducia dei cittadini, lo facciano per servizio, distaccati dalla poltrona e dal potere.
Che farà a Pasqua?
Battezzerò sette adulti, due bambine e un bimbo piccolo nella chiesa di San Benedetto e San Giovanni Battista. Uno degli adulti è la mamma delle due bambine. Poi celebrerò dalle monache di clausura, sarò in cattedrale e a Penne.
Che chiesa è la sua, a livello locale?
È una bella chiesa, sono contento della mia sposa. Ci sono tante forze belle e vitali. E si sta aprendo all’idea della evangelizzazione verso i lontani, i non praticanti. È la grande sfida di oggi, visto che la pratica religiosa è scesa. Senza chiudere gli occhi ci dobbiamo rigenerare su questa lunghezza d’onda e diventare sempre più propositivi per un annuncio del Vangelo più efficace.
Cosa chiede alla sua chiesa?
Chiederei la capacità di essere meno legata all’amministrazione dei sacramenti e più in uscita, più in mezzo alla gente per condividerne fino in fondo le fatiche, le difficoltà ed essere annunciatori di una speranza nuova, una possibilità di fede che va riscoperta.
Cosa vorrebbe nell’uovo di Pasqua?
Uno sguardo più attento sulle persone. Tutte. Di qualunque pelle e religione.