Il voto riapre i giochi in Regione

2 Gennaio 2013

 

Gli abruzzesi stanno prendendo confidenza e gusto per le primarie. Sabato in 35 mila hanno votato per quelle del Pd e di Sel, dimostrando una fedeltà a questa nuova forma di democrazia partecipata superiore ad altre e più sperimentate regioni, per esempio la Lombardia. La sfida non era facile, perché portare per la seconda volta in due mesi gli elettori alle urne, tra il pranzo di Natale e il cenone di Capodanno, non era scontato. Per il Pd abruzzese soprattutto è stata la conferma di una ritrovata sintonia con una larga fetta dell’elettorato, dopo una sfortunata stagione elettorale e giudiziaria.

Il voto di sabato ha due valenze importanti: sana in parte il vulnus di una legge elettorale che lascia alle segreterie dei partiti la nomina dei parlamentari; dà spazio e autorevolezza alle candidature di genere, che non sono più quote riservate alla componente femminile, ma candidature contendibili, al pari di quelle maschili. I risultati ottenuti da Stefania Pezzopane all’Aquila, da Vittoria D’Incecco e Pescara e da Maria Amato a Chieti ne sono una testimonianza.

Il Pd esce dunque rafforzato e rinfrancato da questo voto e il segretario regionale Silvio Paolucci ha molte ragioni per dirsi soddisfatto. Però viste in controluce, queste primarie manifestano alcuni problemi.

Per esempio, due autorevoli esponenti dei democratici, Marco Alessandrini e Lanfranco Tenaglia, hanno rinunciato alla candidatura denunciando il peso dell’apparato di partito sulla formazione delle liste e sull’orientamento del consenso. Altri hanno manifestato insoddisfazione per la chiusura delle liste a esponenti della società civile, a fronte di candidature non proprio di primo pelo. Infine in queste ore si sta ponendo un problema all’interno della componente della ex Margherita, che non si sentirebbe pienamente rappresentata dai risultati delle primarie, dove prevalgono gli ex Ds. Nulla di strano in grande partito organizzato, dove gli apparati contano e dove le storie personali pesano. A Roma, dove in queste ore si stanno decidendo i nomi del listino di Bersani, ne sanno qualcosa. Al Pd si chiede ormai con puntualità e un pizzico di acrimonia l’esame del sangue su ogni materia: il montismo quando c’era Monti, i diritti civili da quando c’è Vendola alleato, l’europeismo da quando c’è Draghi a Francoforte, il tasso di dipendenza dalla Cgil da quando è segretario la Camusso, il tasso di rottamazione da quando è sceso in campo Matteo Renzi. E il tasso di democrazia da quando ci sono le primarie. Non è un male. Se si chiedono garanzie vuol dire che in cambio si è disposti a dare fiducia. Di questi tempi non è poco.

Il Pd abruzzese dovrà considerarlo quando si tratterà di affrontare la questione delle liste regionali. Oggi sono in campo due posizioni: quella che ritiene le primarie per le regionali non utili, visto che la legge elettorale dell’Abruzzo prevede le preferenze; e quella che, proprio a partire dalle primarie di sabato, rilancia lo strumento consultivo, chiedendo che sia più aperto e non solo limitato agli iscritti. La decisione che prenderà il partito non sarà ininfluente. Queste primarie sono state la prima mossa di un gioco che durerà a lungo.

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