L'autobus su cui viaggiava la ragazza e i vigili del fuoco sul luogo dell'incidente

PESCARA / L'INTERVISTA

La ragazza ferita nell’autobus: voglio studiare e andare a Dubai 

La diciassettenne di Pianella che ha perso un piede dopo il terribile incidente di una settimana fa confida al Centro le paure di quei momenti e i progetti per il futuro: «Adesso ricomincia un’altra vita»

PESCARA. «Neppure un istante ho pensato alla morte in quei terribili momenti, ho solo lottato per vivere. Sentivo che non era arrivata la mia ora, un angelo mi avrà salvata, ma è stato un incubo. Ero in piedi sul bus, nella parte davanti, accanto all’autista. Ho avuto solo il tempo di vedere sulla strada la macchina che invadeva l’altra corsia e l’autista del bus sterzare verso destra per non centrare l’automobile.

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Il conducente, poi, è salito ad aiutarci e ha chiesto scusa. Intanto, di colpo mi sono ritrovata schiacciata contro l’albero, in trappola. Le gambe e i piedi incastrati tra le lamiere, ferita al collo, sul viso, sulle braccia. Cercavo di sorreggermi ai tubolari in alto per non scivolare a terra perché avevo dolore alle gambe, ma è stato difficile rimanere in piedi con i vetri conficcati nelle mani e il sangue che mi colava addosso».
È lucida, forte. Non versa neppure una lacrima. Una roccia. Con una forza e un coraggio che non ti aspetti da una diciassettenne, R.M., la ragazza di Pianella (non pubblichiamo nome e foto per volontà della famiglia) ferita nello schianto a Caprara tra l’autobus sul quale tornava a casa dopo la scuola e un’Audi proveniente dalla direzione opposta, racconta al Centro quegli attimi di terrore vissuti lo scorso martedì insieme a una quarantina di altri passeggeri, per la maggior parte studenti. Tra tutti, è stata lei ad avere la peggio. Dopo l’impatto le è stato amputato il piede destro, quasi fino al ginocchio. Ha il piede sinistro ridotto male e sulle spalle più di 12 ore di sala operatoria. Parla, e scandisce le parole, ricorda tutto. Soprattutto ricorda di non aver mai perso i sensi in quegli attimi cruciali in cui l’autista del bus, i vigili del fuoco e i sanitari del 118, le salvavano la vita. A loro, la sua «immensa gratitudine» così come al personale medico che la segue in ospedale. Ieri, intanto, R.M. ha ricominciato a studiare grazie al supporto della sua scuola, l’Alberghiero De Cecco, e del comprensivo 10, diretti rispettivamente da Alessandra Di Pietro e Stefania Petracca, che le hanno messo a disposizione, nell’ambito del progetto “La scuola in ospedale”, docenti, materiale didattico e informatico per non perdere le lezioni che in seguito continueranno a domicilio.
Sdraiata sul letto, nel reparto di Ortopedia (dove è stata trasferita da Rianimazione), con la mamma e il suo compagno che non la lasciano mai sola, circondata da peluche e fiori, dono di amici e parenti, la ragazza racconta il pomeriggio di terrore iniziato lo scorso 17 settembre, intorno alle 13, e culminato nel trasporto d’urgenza in ospedale dove, dopo gli interventi chirurgici, dovrà rimanere a lungo, tra cure e riabilitazione. Ha il naso fratturato bendato e il collo ferito dalle schegge di vetro.
Cosa ricordi di quei terribili momenti?
Tutto. Non sono mai svenuta. Erano le 13, avevo preso il bus dalla stazione di Pescara alle 12,40. Ero in piedi accanto all’autista che poi è stato il primo a soccorrermi tenendomi abbracciata per non farmi cadere. Sulla strada ho visto la macchina sbandare e invadere la corsia opposta. L’autista del bus ha virato verso destra per concentrare la vettura, ma siamo andati a sbattere contro l’albero che mi sono vista arrivare addosso, schiacciandomi. Ero in trappola. I piedi e le gambe bloccate tra le lamiere del pullman, sventrato nella parte anteriore. Intorno a me il panico degli altri passeggeri feriti in testa.
Poi sono arrivati i soccorsi.
Prima i pompieri e poi i sanitari del 118. Io urlavo: liberatemi, sono incastrata! Sono stati velocissimi a portarmi fuori da quell’inferno di lamiere. I vigili del fuoco mi hanno fatto calare un telo sul volto per proteggermi dai pezzi di vetro che schizzavano ovunque. Mi hanno liberato le gambe. I medici mi sorreggevano i piedi, vedevo le mie ossa spuntare dalla gamba destra. Un dolore fortissimo. Mi ha assalito il panico. Con le mani mi aggrappavo ai pali per non crollare, ma scivolavo, con i vetri conficcati nelle mani che sanguinavano. Anche l’automobilista che ha sbandato sulla strada è salito sul bus per aiutarci. Diceva: mi dispiace, mi dispiace, non volevo, andavo di fretta. Gli ho risposto: adesso reggimi, sto cadendo, mi fanno male le gambe.
Hai avuto paura di morire?
No, pensavo a sopravvivere. Pensavo: ce la farò, non è ancora arrivata la mia ora.
E adesso?
Adesso si ricomincia un’altra vita. Farò finta di essermi fatta male in cucina. Metterò le protesi per camminare, non voglio stare in carrozzella. Non voglio deprimermi, né rimuginare, voglio andare avanti.
Che sogni hai da realizzare?
Voglio studiare, imparare altre lingue, oltre all’inglese, e trovare lavoro a Dubai, negli Emirati Arabi. E poi voglio danzare caraibico e vedere Cuba.
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