Omicidio di Alina, in aula i periti: “Morta per asfissia dovuta a compressione del collo”

Sotto processo, con il rischio di una condanna all’ergastolo, si trova Mirko De Martinis, il compagno della vittima. I due superperiti nominati dalla Corte di Assise di Chieti confermano le conclusioni degli esperti dell’accusa. La sentenza l’11 settembre
PESCARA. Anche per i due superperiti nominati dalla Corte d'Assise di Chieti, la morte di Alina Cozac, 44 anni di origine romena, sarebbe avvenuta per “asfissia meccanica per compressione del collo”. Stessa conclusione cui giunsero gli specialisti dell’accusa rappresentata dal procuratore Giuseppe Bellelli e dall’aggiunto Anna Rita Mantini. Sotto processo, con il rischio di una condanna all’ergastolo, si trova Mirko De Martinis, il compagno della vittima che quella notte del 22 gennaio 2023 era solo con Alina nella loro casa di Spoltore e che chiamò i soccorsi, ipotizzando un malore di Alina.
Ieri mattina i due periti nominati dal presidente Guido Campli, Roberto Testi e Stefano Taraglio, hanno relazionato sul lavoro svolto, rispondendo alle poche domande dell’accusa (già soddisfatta dalle loro conclusioni) e alle tante poste dall’avvocato Michele Vaira che assiste l’imputato accusato di omicidio volontario. «Sulla base di quanto emerso dall’esame autoptico e dall’osservazione diretta dei reperti istologici», scrivono gli esperti della Corte, «riteniamo che la causa della morte di Alina Cozac fu asfissia meccanica per compressione del collo». E i periti evidenziano anche che «le lesioni macroscopiche e microscopiche osservate durante l’esame autoptico a carico della regione del collo indicano una compressione estrinseca mentre, almeno per una buona parte di esse, non sono spiegabili solo come conseguenza delle manovre di rianimazione», e aggiungono anche una precisazione che fornisce alla difesa lo spunto per far riemergere la sostenuta tesi difensiva: «La donna era portatrice di una significativa patologia cronica polmonare che non costituisce uno specifico aumento del rischio di morte improvvisa che, peraltro, in misura minima, incombe su ciascun individuo». E concludono affermando «che reperti anatomici indicano con certezza che vi è stata una rilevante compressione a carico del collo, sebbene alcuni dati istologici possano essere indicativi di una morte asfittica, la localizzazione degli infiltrati emorragici e la presenza di un evidente infiltrato periavventiziale della carotide, rende a nostro avviso, verosimile, seppure non dimostrabile, che una importante componente vagale abbia avuto rilievo nel determinismo del decesso».
La difesa aveva sempre sostenuto l’estraneità dell’imputato, attribuendo la morte (in mancanza di un movente valido e contestando quello della gelosia sostenuto dall’accusa) alle manovre rianimatorie dei soccorritori. «Siamo», ha commentato l’avvocato Vaira, «come eravamo all’inizio del processo, con un unico dato di un certo significato: una infiltrazione emorragica nel collo. Il resto è stato demolito nel processo. E riteniamo che questi unici segni che possono essere compatibili con un soffocamento siano attribuibili alle manovre rianimatorie».
Nell’ultima udienza c’era stata la discussione e la Corte si era riunita in camera di consiglio per emettere la sentenza, uscendo però con l’ordinanza con cui disponeva questa superperizia per dirimere le controverse posizioni degli esperti di accusa e difesa. E ieri De Martinis ha rilasciato delle dichiarazioni spontanee, ribadendo di aver assistito a quelle manovre e che Alina, contrariamente a quanto detto dai periti della Corte, venne intubata anche «in maniera cruenta e violenta». L’11 settembre la nuova discussione e la Corte emetterà la sentenza.