FILOSOFIA

Maria Zambrano vedeva l’esilio come patria negli scritti ritrovati

di ALESSANDRA CISLAGHI Essere esiliato, sradicato, rifugiato è la drammatica condizione di molti in questo tempo. A motivo della guerra o della miseria, si abbandona la terra in cui si è nati,...

di ALESSANDRA CISLAGHI

Essere esiliato, sradicato, rifugiato è la drammatica condizione di molti in questo tempo. A motivo della guerra o della miseria, si abbandona la terra in cui si è nati, facendo l'esperienza lacerante della perdita di ogni cosa e della propria identità. Ma non è solo questione d'attualità, il fenomeno dell'esilio è, infatti, antico come la storia umana. L'ha vissuto dolorosamente anche una delle maggiori protagoniste della storia della filosofia del '900: Maria Zambrano, filosofa spagnola, espulsa dalla sua patria a causa della guerra civile e della dittatura franchista. Era nata nel 1904 in Andalusia, terra d'incrocio di culture diverse (cristiana, ebraica, araba, gitana). Da esule trascorse quarantacinque anni oltreoceano, a Cuba, in Messico, a Puerto Rico, dove creò un pensiero dell'esilio. La situazione di estraneazione le apparve come la caratteristica comune di ogni essere umano. Si tratta di una rivelazione, che nasce dall'esperienza fatta nella propria carne, sentita in maniera viscerale. Chi non è sradicato può non accorgersi della somiglianza tra l'esilio e la nascita, che è un'espulsione, uno strappo, un inizio. «Era come sentirsi ancora una volta sul punto di nascere» - annota Zambrano - perché chi non era morto, nella tragedia degli eventi, scopriva di doversi destare e rinascere. Nella solitudine, priva di legami affettivi, senza protezione, l'esiliato è uno sconosciuto per gli altri, ma anche per se stesso, senza più punti di riferimento e di sostegno. L'esiliato sogna, il rifugiato progetta, lo sradicato delira. Questa forza immaginativa dà impulso a un processo di trasformazione, che è segno caratteristico della vita stessa. Nel delirio una ferita resta aperta e così anche la speranza. Nell'esilio - quale categoria di pensiero - si manifesta l'immensità della vita, che non ha confini ma che sta nell'abbraccio di un unico orizzonte. La terra d'esilio è uno spazio senza luoghi propri, che può assurgere a luogo metafisico. Lì, secondo Zambrano, albeggia la possibilità di pensare fuori dalle strettoie del razionalismo, affidandosi ad altre modalità conoscitive, che anche altre culture hanno coltivato: l'intuizione, la visione, la rivelazione, liberate dai dogmatismi religiosi. Chi pensa è qualcuno che vede e patisce. L'abbandono, conosciuto come il più irrevocabile sradicamento, può significare allora un privilegio per sé, seppure mai augurabile ad altri. Gli scritti di Zambrano sull'esilio sono una profonda testimonianza legata alla realtà storica del XX secolo e possono valere ora, al contempo, come straordinaria cifra interpretativa delle migrazioni che assillano il presente. La patria - osserva Zambrano - è il mare che raccoglie il fiume della moltitudine e, all'uscire da questo mare, soli tra il cielo e la terra, bisogna raccogliersi in se stessi e reggere il proprio peso, unificare la vita passata, tenerla in sospeso, sostenerla; bisogna pur vivere e dunque risalire, mentre si è diventati nessuno. In questa ripresa le radici sono nude. L'esilio si manifesta qui come una rivelazione dell'umano, nell'intreccio con quella passione che misteriosamente o poeticamente viene chiamata divina. La condizione dell'esule mette in piena luce il fatto di essere vivi, come esseri rigettati dalle onde, scampati a un naufragio, superstiti che la morte si è rifiutata d'inghiottire e che la vita porta e sostiene, e che perciò si sentono innocenti, che non possono fare altro se non nascere. La scoperta di non essere nulla - nemmeno mendicanti, ma soltanto solitari dentro se stessi, accusati di andarsene via senza avere neppure dove andare - ripropone il racconto dei miti d'origine, che parlano di una cacciata, di una fuoriuscita e dell'inizio della storia come noi la conosciamo. I testi della filosofa esule hanno una storia fatta di naufragi e di ricreazioni. Elaborati per un'opera che rimase incompiuta, in parte confluirono in altri libri o articoli, in parte rimasero in forma dattilografata o manoscritta e furono conservati alla Fondazione a Malaga che porta il suo nome. Ora quei testi sono raccolti in un volume e appaiono per la prima volta in Italia, nell'accuratissima traduzione e a cura di Armando Savignano: “L'esilio come patria(Morcelliana, pagg. 234, euro 18). Savignano firma anche la premessa “L'esilio da fatto storico a categoria metafisica e mistica”. Ordinario di Filosofia morale all'Università di Trieste, Savignano è raffinato interprete della filosofia ispanica (Unamuno, Ortega y Gasset, Zubiri, nonché Don Chisciotte).