Pescara

Morte di Riccardo Zappone, parla il meccanico indagato: «Era fuori di sè, l’ho cacciato dall’officina, mi ha colpito»

5 Giugno 2025

Pescara, la vicenda del ragazzo morto dopo il taser. Ecco il racconto della lite: «E’ entrato urlando, ci minacciava, poi la colluttazione in strada» 

PESCARA. Meno di tre mesi fa era finito sulle pagine del Centro per la sua grande umanità: nella sua officina, in strada Comunale piana, il meccanico Angelo De Luca, 60 anni, 4 figli e cinque nipoti, ha dato alloggio a Gianfranco, un vecchio cliente che con la salute ha perso il lavoro, la casa, tutto. Ma Angelo da ieri con il fratello e il genero è indagato per lesioni aggravate nell’inchiesta sulla morte del 30enne Riccardo Zappone, deceduto martedì in ospedale dopo la lite con quel giovane «fuori controllo», iniziata nella sua officina e finita in strada, e dopo che la polizia per bloccarlo l’ha colpito con il taser. Poi il trasporto in questura, il malore improvviso e la tragedia in ospedale. Chiamato in questura, senza sapere ancora che il ragazzo era morto, Angelo De Luca è stato indagato intorno alle 16, dopo più di tre ore di attesa. Lo racconta nella sua officina ai clienti che si fermano per una parola, una pacca sulla spalla. E lui che dice stravolto: «Mi hanno sequestrato il telefonino, sembra che l’ho ucciso io, ma io ho dormito tranquillo, ho la coscienza in pace anche se un ragazzo così che muore mi dispiace veramente».

Signor Angelo, ma quindi cosa è successo?

«C’è stata una colluttazione tra me e quel ragazzo, mi dispiace come sono andate dopo le cose. Ma nonostante le parolacce e le minacce non l’ho preso a pugni, ho proprio cancellato dalla mente questa idea. E meno male che non l’ho colpito».

Ma perché la lite?

«Avevo appena aperto, erano passate da poco le 9. Stavo dentro l’officina a lavorare. Avevamo visto ’sto ragazzo che faceva avanti e indietro lungo la strada, tra la clinica veterinaria e qui. Poi l’ho sentito parlare con mio genero, aveva la voce alterata. Ho pensato che fosse qualche cliente che si stava lamentando per il lavoro, ho chiesto che stava succedendo. E lui è venuto dentro, verso di me».

E cosa le ha detto?

«Stava agitato. Sbraitava, parlava forte, era come se avesse paura di qualcuno o di qualcosa. Era sporco di sangue sotto le narici, si vedeva che non stava bene. Per calmarlo gli ho messo la mano sulla spalla, gli ho chiesto se gli serviva qualcosa, se cercava qualcuno».

E lui?

«Si è messo la mano in tasca e mi ha buttato dieci euro in terra. E diceva “io qua ammazzo tutti quanti”. E io a dirgli di nuovo “che ti è successo?”. Ma niente, era fuori di sè».

Perché secondo lei?

«Era super eccitato, ho capito che aveva preso qualcosa, che stava drogato. Ho preso quei dieci euro e gliel’ho rimessi nella tasca e l’ho accompagnato fuori. Gli ho detto “lasciami perdere, fammi lavorare”. Poi si è avvicinato a una cliente, è arrivato mio fratello con la moglie ed è andato verso di loro. Ha iniziato a urlare “vi ammazzo tutti” “dammi due ore che torno e non so che succede”. Ho detto basta, “mo te ne devi proprio andare, lasciami perdere”. E mentre si spostava ha preso la mazza della scopa appoggiato ai bidoni fuori e se n’è andato verso il bar di mia figlia e verso l’ex circolo tennis, dove stanno ormai tutti i balordi e i tossicodipendenti».

Era finita così, che è successo poi?

«No, perché mentre si allontanava con quella mazza ho visto che c’erano due donne col carrello della spesa. Gli sono andato dietro, gli stavo vicino non avevo paura, l’ho continuato a cacciare e a urlare, pensavo che poteva fare qualcosa a quelle donne, e volevo che andasse oltre il bar delle ragazze, di mia figlia. Ma lui all’improvviso ha strappato quel carrello e ha fatto per buttarmelo addosso».

E poi?

«Dietro c’era mio genero ed è arrivato anche mio fratello».

Anche loro sono indagati, che hanno fatto?

«Mio genero che aveva la scopa gliel’ha lanciata per impaurirlo e mio fratello ha cercato di agguantarlo. Dopo che ha cercato di lanciarmi quel carrello, ha iniziato a tirare pugni, uno l’ho schivato l’altro mi ha preso e io a quel punto l’ho spinto».

E lì è caduto?

«Sì».

Ha battuto la testa?

«È caduto prima di sedere e poi sì, è andato indietro con la testa».

E lei che ha fatto?

«In quel macello si era fermato il traffico, mi sono messo in mezzo alla strada ho iniziato a dire di chiamare la polizia. Gli ho raccolto le ciabatte, il tesserino del supermercato credo, gli ho detto di starmi a distanza, “vattene per favore, lasciami in pace”. E me ne sono tornato all’officina».

E cosa è successo al ragazzo?

«Eh non lo so, io non l’ho visto. Forse un quarto d’ora dopo è arrivata la polizia, due pattuglie. Dicono che in quattro ci hanno messo mezzora per caricarlo sulla macchina».

Quando ha saputo che era morto?

«Dopo, molto dopo. Quando mi hanno chiamato in questura verso mezzogiorno mi hanno detto che dovevo andare per la lite. Prima hanno sentito un mio cliente per un bel po’. Io me ne sono tornato a casa, dovevo lavorare. Mi hanno richiamato verso le 15.30 ma a me non hanno fatto domande, mi hanno fatto firmare solo le carte».

Che ha pensato quando ha saputo della tragedia?

(resta qualche secondo in silenzio, piange) «Fa male. Un ragazzo così, 30 anni».