Morte di Zappone, l’inchiesta si allarga: ora spunta l’arresto illegale

Pescara, omicidio: inchiesta parallela: il pm vuole vedere chiaro sulla legittimità dell’azione dei poliziotti e sull’utilizzo del Taser e ricorre contro il no agli arresti
PESCARA. Si allarga l’inchiesta sulla morte di Riccardo Zappone, il 29enne deceduto in ospedale il 3 giugno dopo che era stato pestato in strada e arrestato dalla polizia. Il magistrato Gennaro Varone aveva presentato richiesta (rigettata dal giudice per le indagini preliminari, Gip) ) di arresto per i tre indagati per omicidio. Ma dalle carte del ricorso al Riesame, presentato successivamente sempre dal pm contro il no agli arresti di Riccardo Zappone, i fratelli Angelo e Paolo De Luca e Daniele Giorgini, viene fuori un parallelo procedimento contro i poliziotti che eseguirono l'arresto di Zappone che quel giorno venne pestato a sangue. L’altro procedimento. È lo stesso pm che lo afferma nel ricorso quando, scrivendo proprio dell'arresto, aggiunge: «È evidente che nessun impatto lesivo sia stato rivolto contro la schiena di Riccardo Zappone e che la tecnica operativa sia stata corretta; sospeso, invece, il giudizio sulla legittimità dell'arresto e della decisione di contenimento con il Taser, per il quale pende separato procedimento». Un passaggio che significa una sola cosa: la Procura sta indagando anche sul comportamento dei poliziotti.
«ARRESTO ILLEGALE». La riprova arriva sempre dal pm Varone quando nella richiesta di arresti, sempre riferendosi alle fasi dell'arresto di Zappone, scrive: «Nell'immediatezza è apparsa giustificata l'adozione dei mezzi di contenzione (Taser e manette), per evitare un corpo a corpo con Zappone, che si presentava copiosamente sanguinante all'apice del capo, dava segni di squilibrio mentale, di aggressività verso i poliziotti ed appariva reduce da una furibonda lite in strada. All'esito di una compiuta acquisizione degli elementi è stato aperto separato procedimento, per violazione dell'articolo 606 del codice penale»: vale a dire arresto illegale.
L’AGGRESSIONE. Per tornare al ricorso che si discuterà a L'Aquila il 4 settembre prossimo davanti ai giudici del Riesame, il pm Varone, dopo aver evidenziato la presenza di un «elevatissimo tasso di cocaina nel sangue di Zappone"» e la possibile concausa con le plurime fratture costali posteriori «quali cause concorrenti della sommersione polmonare emorragica conducente al decesso», afferma: «Tenuto conto dei risultati dell'autopsia, di quanto si vede nei filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza, delle vivide testimonianze di chi ha assistito al pestaggio cui è stato sottoposto Riccardo Zappone, preso a bastonate, selvaggiamente percosso e più volte colpito alla schiena con calci e, prima ancora, portato ad un violento impatto contro la vettura con la quale Paolo De Luca gli ha tagliato la via di fuga: ebbene, non si può dubitare che i danni costali refertati derivino da tale aggressione».
IL RICORSO. Per la Procura, comunque, diversamente da quanto scritto dal giudice (Gip) Mariacarla Sacco sulla insussistenza dei requisiti che giustifichino una misura cautelare, la reiterazione del reato e l'inquinamento delle prove esistono. La reiterazione viene spiegata con i precedenti di Paolo De Luca, sorvegliato speciale, e con la posizione di Giorgini, «la cui veemenza nell'azione, per reazione a una "offesa" che neppure lo coinvolgeva direttamente, è in linea con lo stile criminale che Paolo ha sfoggiato, nel voler infliggere una pubblica punizione a chi ha osato di mettere in discussione un carisma famigliare».
Il magistrato contesta al Gip anche il fatto di non aver valutato il reato di lesioni aggravate magari in sostituzione dell'omicidio preterintenzionale contestato ai tre indagati. Ma, anche se la richiesta di arresti verteva appunto su questo secondo reato (omicidio preterintenzionale sul quale si dovranno esprimere i giudici del riesame), per il pm il giudice avrebbe comunque omesso di pronunciarsi sulla contestazione provvisoria di lesioni gravi. il capo pattuglia. E Varone punta il dito anche sui due testi amici dei De Luca, quello che telefonò al 112 e quello che rilasciò le prime dichiarazioni agli investigatori (finiti sotto inchiesta per favoreggiamento), perché la pattuglia, appena giunta sul posto «non ha appreso di Zappone quale soggetto violentemente percosso, ma di Zappone quale aggressore. Tale azione di inquinamento probatorio ha condizionato, prima ancora che l'investigazione, le stesse decisioni del capo pattuglia, quando ha raggiunto in strada una persona apparentemente pericolosa per sé e gli altri, che non voleva saperne di consegnarsi».
E il pm rileva ancora che «è stata proprio questa distorsione che, dissimulando le fasi dell'aggressione subita dallo Zappone, non ha consentito un intervento del soccorso sanitario ancora più tempestivo».