Nominiamo il male, lo scoveremo ovunque: il commento di D’Alfonso sul femminicidio di Lettomanoppello

12 Ottobre 2025

Poteva accadere una strage come nei college Usa, dove l’obiettivo degli assassini è emergere, farsi notare, diventare qualcuno. Questo grave episodio è una convocazione urgente a interrogarsi

LETTOMANOPPELLO. Quando in un territorio di quasi 3mila anime come Lettomanoppello si verifica un fatto di sangue, un uomo che uccide la donna con la quale aveva condiviso parte della propria vita, è necessario fermarsi e aprire una riflessione. È accaduto l’impensabile anche qui, dove volti e vie mi sono familiari. Anche qui, a Lettomanoppello. E non è solo la tragedia in sé a scuotere le coscienze, ma l’orrore e la pena che si annidano dietro l’idea che anche qui, in una comunità che ci pareva tutto sommato al riparo, possa essersi consumato un omicidio, una tragedia familiare e comunitaria.

In un pomeriggio di ottobre ha avuto spazio l’idea, conscia o meno, di qualcuno di avere il diritto di decidere della vita di un’altra persona. In un paese di tremila abitanti, dove tutti si conoscono almeno di vista, dove le strade sembrano custodire una certa idea di tranquillità, un uomo, prossimo ai settant’anni, ha ucciso una donna.

Antonio Mancini era noto, fin troppo. E la sua notorietà ci racconta che la tragedia che si è consumata non può essere solo una vicenda da leggere nella cornice di fratture familiari, di un odio nato in seno a un singolo nucleo, che nulla ha a che vedere con il resto della comunità, della società civile in cui pure quel fatto è maturato.

Forse potrà sembrare rassicurante trovare subito un nome, un cognome, una presunta motivazione da fornire al pubblico. Ma a ben vedere tutto questo non è rassicurante, né catartico, né compensativo per una terra che lo scorso giovedì ha in qualche modo perso parte della sua verginità di borgo tranquillo. Anche qui è successo, purtroppo.

E questo anche qui oggi mi sgomenta e mi interroga con quote di emotività significative. Anche: perché è successo in un contesto che sembrava a riparo.

Sorgono spontanei una serie di interrogativi: quali sono gli indizi che ci garantiscono che quell’uomo volesse uccidere proprio la sua ex compagna, che la sua ex moglie fosse il suo obiettivo finale?

L’uomo deteneva, a quanto pare illegalmente, una pistola e sembra che tutti lo sapessero: era noto che l’aveva rubata addirittura nel 2011, la portava abitualmente in tasca, ne faceva pubblica mostra. Il figlio aveva anche denunciato alle forze dell’ordine la circostanza sollevando dubbi sulla sicurezza di quella detenzione comunque illegittima.

Ma il figlio ha pubblicamente dichiarato che mai nessuno ha avvertito la necessità di effettuare un controllo, una verifica, una perquisizione su un soggetto abituale frequentatore dei bar del paese di quasi 3mila anime. E allora chiedo: perché quell’uomo poteva avere la pistola?

Il ruolo del carcere: l’omicida, dopo aver tentato una apparente resistenza, barricandosi dentro un bar a Turrivalignani e sparando altri colpi in direzione della piazza, è stato arrestato. Giustamente, si dirà.

Ma qual è il ruolo del luogo di detenzione post-reato? Quello di rieducare alla vita civile, al rispetto delle regole, al rispetto della vita umana, favorendo il reinserimento successivo del detenuto. In questo caso, però, l’interrogativo resta con una risposta sospesa perché l’uomo in questione in carcere, in realtà, ritroverà il suo habitat, essendo stato un abituale frequentatore di quelle stanze. Ritroverà il suo ambiente, addirittura le sue abitudini, magari incontrerà volti noti e in qualche modo familiari e quindi rassicuranti tra le guardie di sicurezza e i sanitari in servizio.

E allora domando: qual è in casi del genere il ruolo e l’utilità della carcerazione? L’espiazione del reato commesso? Il raggiungimento del pentimento? La propria rieducazione?

Ma c’è di più: l’uomo oggetto della nostra riflessione sta male, a uno stadio avanzato.

E su questo ulteriore elemento dobbiamo interrogarci: quale sarà il suo obiettivo all’interno del carcere sapendo di poter contare i mesi davanti se non le settimane? E a mia volta chiedo, un soggetto che si è macchiato con tanta freddezza, quasi indifferenza, di un tale reato, quanto tempo effettivamente resterà ricoverato nella struttura di detenzione in virtù delle sue condizioni di salute?

Secondo il nostro sistema detentivo italiano, quanto tempo trascorrerà prima che l’avvocato della difesa chiederà i domiciliari per il proprio assistito che non sta bene?

E come fa un paese di poco meno di 3mila anime a pensare di dover in qualche modo convivere con una tale presenza sul proprio territorio? Con quali strumenti di difesa o di tutela delle vite umane?

Io credo che il grave episodio registrato nella provincia di Pescara meriti più di una riflessione. Le Istituzioni non possono accettare semplicemente di attaccare l’etichetta di “femminicidio” a una vicenda che paradossalmente poteva avere risvolti ancor più gravi, perché quell’uomo avrebbe potuto continuare a sparare per colpire il nipotino o anche dei passanti, poteva colpire il signor Giovanni che in bicicletta passava davanti al bar di Turrivalignani ignaro di tutto. Poteva accadere una strage simile a quella che vediamo nei college statunitensi, dove l’obiettivo degli assassini non è quello di uccidere tizio o caio, ma l’obiettivo è l’omicidio stesso per emergere, per farsi notare, per diventare qualcuno, per assumere una pubblica identità riconosciuta. Un’ossessione spesso anticipata da un uso distorto anche degli strumenti social.

Il male fiorisce là dove nessuno lo nomina: nominiamolo allora, il male, e nominandolo lo scoveremo dietro cortine di indifferenza, di equivoci, di pigrizie, di sottovalutazioni. Abbiamo il dovere di nominarlo, perché ciò che ha sconvolto la tranquillità di Lettomanoppello, di una cittadina alle pendici della Maiella, è una convocazione urgente ad interrogarsi che riguarda tutti. Serve andare oltre lo sgomento, oltre la cronaca del giorno dopo. Serve una comunità che protegga, che ascolti, che intervenga. Prima. Anche qui.

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