Ore 10,25: si scatena l’inferno a Villa Cipressi Esplode fabbrica di fuochi d'artificio, 4 morti

Città Sant'Angelo, cancellata un’intera collina: tre corpi restano sotto le macerie e sono recuperati solo dopo più di 24 ore

CITTA’ SANT’ANGELO. L’inferno, in contrada Sant’Agnello di Elice, sotto Città Sant’Angelo si scatena alle 10,25 quando esplode la fabbrica di fuochi d’artificio dei fratelli Di Giacomo e i danni, tra calcinacci, fuoco e vetri rotti ricadono in un raggio di cinque chilometri. Colpa di circa cento quintali di materiale esplodente che sventrano una collina, radono al suolo sette depositi, uccidono un ragazzo di 22 anni, Alessio Di Giacomo, e s’inghiottono le tre persone che stavano lavorando nel laboratorio: il titolare Mauro Di Giacomo, 45 anni (papà di Alessio), suo fratello Federico, 50, e il nipote (figlio di un altro fratello) Roberto Di Giacomo, 39 anni, ufficialmente dispersi ma per i quali già ieri pomeriggio i sanitari del 118 dicevano: «Non ci sono più speranze». Una dichiarazione che poi si è rivelata vera, i corpi dei tre sono stati ritrovati oggi dilaniati nel raggio di decine di metri.

In ospedale a Pescara, nel reparto di Rianimazione, per presunte lesioni interne, e con le gambe fratturate, viene ricoverato invece Gianmarco, 17 anni, fratello di Alessio, mentre Giordano, 21 anni, figlio di Federico, cugino di Alessio e Gianmarco, sale in ambulanza con i suoi piedi, e ai soccorritori ha la forza di raccontare: «Ero in ufficio con Alessio e Giordano, mi sono salvato perché appena ho sentito l’esplosione sono scappato dentro al bunker». Poi, all’ospedale di Penne, viene ricoverato con una prognosi di 30 giorni in Ortopedia per una frattura alla gamba.

La trappola. È una trappola del destino quella che travolge le famiglie dei cinque fratelli Di Giacomo, con le mogli, le madri e le sorelle che dietro al nastro rosso che le separa dall’inferno, tra ambulanze e autobotti che vanno e vengono e gli elicotteri sulla testa, sperano fino all’ultimo e poi si disperano, mentre i vecchi, dopo aver visto anche le case sventrate intorno alla fabbrica, scuotono la testa: «Non c’è rimasto niente». È una trappola del destino perché dopo le prime due esplosioni che una dopo l’altra, alle 10,25, fanno tremare i vetri fino a Pescara e a Pineto, mentre il fungo di fumo si alza sopra Città Sant’Angelo e iniziano le chiamate al 118 e ai carabinieri del comandante Arturo D’Addona, Alessio, l’unica vittima finora accertata, è ancora vivo. Muore 22 minuti dopo, quando la terza esplosione sorprende non solo lui, che era corso a chiamare aiuto e che invece viene travolto da una fiammata sulla parte sinistra del volto, ma anche i vigili del fuoco e i sanitari del 118 appena scesi dall’elisoccorso arrivato da Pescara e dall’ambulanza di Penne. Vengono scaraventati tutti a terra, dentro una nuvola di fumo irrespirabile. Fanno la conta, si chiamano. Alessio non risponde. Cinque vigili del fuoco sono feriti. C’è chi sanguina, chi è dolorante, quasi tutti ci sentono a malapena. Maurizio Berardinucci, 47 anni residente a Montesilvano, è il più grave. E mentre la madre, con il cuore in gola per il marito e l’altro figlio ferito, viene accompagnata al capezzale del povero Alessio, adagiato sotto un tendone della Misericordia in attesa del medico legale Ildo Polidoro, per Berardinucci si alza in volo l’elisoccorso del 118 che lo trasporta all’ospedale di Pescara dove viene ricoverato in prognosi riservata nel reparto di Chirurgia 1. Gli altri quattro vigili, Antonio Matricardi, 50 anni di Francavilla, Gabriele Salvatorelli, 50 anni di Moscufo, Renato De Luca, 49 anni di Filetto e Marcello Di Cerchio, 44 anni di Pescara vengono portati in ambulanza a Penne. In ospedale, nel reparto di Otorino, restano solo De Luca (30 giorni) e Di Cerchio (25 giorni).

Il pianto. Intanto, sulla strada, dove decine di persone tra familiari, conoscenti e gente del posto, aspettano di sapere, le prime brutte notizie trasformano in pianto e lamenti la speranza delle donne in attesa: «Mio figlio, ditemi dov’è mio figlio», chiede stremata Gina. Ma deve aspettare. Perché tutt’intorno è l’apocalisse, con la collina che continua a bruciare, i pezzi di cemento degli edifici esplosi finiti anche a un chilometro di distanza, i vetri delle case intorno rotte e le piccole esplosioni che continuano a far paura e a tenere lontani i soccorritori: dieci ambulante, l’elicottero del 118, vigili del fuoco, carabinieri, polizia, forestale, soccorso alpino, polizia provinciale, vigili urbani e protezione civile con il sindaco di Città Sant’Angelo Gabriele Florindi che subito dice: «Ci sono delle vittime, è una tragedia».

Il bilancio. Il primo bilancio lo fa il questore Paolo Passamonti il quale, arrivato in elicottero con il comandante della compagnia di Montesilvano Enzo Marinelli, intorno alle 13 finisce il sopralluogo e annuncia: un deceduto e sei feriti. Ma circa un’ora dopo il numero viene aggiornato dal capitano Eugenio Stangarone, che coordina le indagini con il comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri Giovanni Di Niso: i dispersi sono ancora tre, ma i feriti, intanto, sono saliti a nove.

Le superstiti. Tra di loro ci sono anche, oltre ai cinque vigili del fuoco e ai due giovani Gianmarco e Giordano Di Giacomo, anche la nonna dei ragazzi e la badante. Le due donne si trovavano nella palazzina a fianco al laboratorio a poca distanza dal terzo deposito da cui sarebbe partita l’esplosione, ma sono miracolosamente salve: la badante viene portata via da una macchina del Radiomobile di Montesilvano diretto da Claudio Ciabattoni, l’anziana, Gilda Tauro, 92 anni, soccorsa dai volontari della Misericordia viene ricoverata nel reparto di Geriatria dell’ospedale di Penne dove le riscontrano solo un forte stato d’ansia. È l’unica buona notizia per la grande famiglia Di Giacomo con le donne che continuano ad aspettare sotto un tendone allestito dal consultorio Asl di Città Sant’Angelo con i servizi sociali del Comune. Il caldo torrido non accenna a placarsi quando, con i canadair che vanno e vengono, sul posto arriva il prefetto Vincenzo D’Antuono. Sono circa le 15. Le ricerche dei dispersi sono ufficialmente interrotte, perché la collina continua a bruciare e tra le «case matte» i depositi a ridosso del laboratorio, ce ne sono ancora due saturi di materiale di quarta e quinta categoria, in sostanza circa 200 chili di fuochi pirotecnici e sacchi di povere pirica inesplosi. È per motivi di sicurezza che anche i vigili del fuoco, sul fronte per tutta la mattinata nonostante il terreno pieno di petardi e «cipolle» inesplosi, interrompono l’opera di bonifica e spegnimento che li ha ridotti allo stremo.

L’inchiesta. Il testimone passa agli artificieri della polizia di Pescara che già questa mattina hanno fatto brillare i due depositi nella speranza che. Il tempo di intervento previsto è di 48 ore, ma la speranza è già oggi sono stati ritrovati i resti di Mauro, Federico e Roberto. Morti sul lavoro, il lavoro creato e portato avanti da trent’anni con la forza e l’unità di una famiglia da ieri decapitata. Sul posto, intorno alle 16, arrivano anche il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e il pm Anna Lisa Giusti: la Procura aprirà un fascicolo per disastro colposo e omicidio plurimo colposo a carico di ignoti.

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