Pescara, gli affari dei rom tra ville e case popolari

Vivono in ville ma mantengono gli alloggi a Rancitelli per spacciare. La rivelazione di un investigatore: per loro tenere una casa popolare è come avere un negozio in corso Umberto
PESCARA. «Non tutti i rom hanno a che fare con la droga, ma chi ci si è arricchito e si è costruito le ville, una casa popolare a Rancitelli se l'è tenuta comunque per gli affari: per chi spaccia, è come avere un negozio in corso Umberto». Chi parla è un investigatore che conosce vita, morte e miracoli delle famiglie rom insediate a Pescara da generazioni. Cognomi che sono sempre gli stessi (Ciarelli, Di Rocco, Spinelli, Guarnieri, Bevilacqua) e che rimbalzano e si moltiplicano nelle zone calde della città.
MAPPA DEGLI SFRATTI. A Rancitelli prima di tutto, ma anche a San Donato, a Fontanelle, ai Colli e, in misura minore, a Zanni. È questa la mappa che il Comune, insieme all'Ater e alle forze dell'ordine, sta seguendo per restituire le case popolari occupate abusivamente (non solo dai rom) a chi ne ha diritto. Sfratti che costano seimila euro ad appartamento e che, dopo i 24 sgomberi messi a segno dall'amministrazione Mascia fino allo scorso dicembre («operazioni che mai nessuno nella storia della Repubblica aveva avuto il coraggio di realizzare», si vanta il sindaco), da tre giorni sono ripresi grazie ai centomila euro ottenuti dalla Regione.
DOPPIO BLITZ. Ecco il blitz di giovedì mattina al Ferro di cavallo in via Tavo, con quattro alloggi liberati e riassegnati agli aventi diritto, ed ecco l'operazione di ieri mattina, con altri cento uomini tra vigili urbani, polizia, carabinieri, finanza, medici, vigili del fuoco, traslocatori, addetti dell'Attiva e operai dell'Ater che dalle 7,30 e per tutta la mattinata hanno lavorato per liberare una casa popolare in via Lago di Borgiano (80 metri quadrati per 12 persone di cui la metà bambini) a Rancitelli, e altri tre appartamenti in via Caduti per Servizio, nel cuore malato di Fontanelle, dove tra i cinque bambini mandati via con i genitori c'era anche un neonato. «Tutte famiglie rom», spiega il sindaco, «tutti pluripregiudicati che a differenza del giorno prima, in via Tavo, hanno raccolto le proprie cose e sono usciti senza alcun problema».
LA LEGGE. Ma i 32 abusivi mandati via servono a poco se, come ha ribadito lo stesso sindaco pronto a scrivere al governatore Chiodi, non si rende efficace la legge 96 del 1996 che dà mandato al sindaco di far decadere l'assegnazione di una casa popolare in cui si sia svolta attività illecita. Una legge che la Regione ha riformulato nel 2007 (la numero 34) prevedendo la flagranza del reato che fa decadere l'assegnazione nei confronti di chi vi sia stato sorpreso a delinquere, ma che ha comunque un procedimento molto lento, che vanifica il lavoro quotidiano delle forze dell'ordine.
RANCITELLI. Perché non è una leggenda metropolitana che Rancitelli sia il centro commerciale della droga anche per chi arriva dalle regioni limitrofe. È una realtà con cui la gente perbene di questo rione è costretta a convivere quotidianamente, con il paradosso che molte delle famiglie rom più potenti, quelle che gestiscono lo smercio di eroina e cocaina, quelle case popolari le usano solo per far spacciare donne e minorenni, salvo poi farle tornare a dormire nelle ville costruite con i proventi di questi traffici. Succede a Rancitelli, il quartier generale dei rom che lì, al Ferro di Cavallo di via Tavo e nella zona di via Lago di Capestrano e via Lago di Borgiano si sono insediati a poco a poco nelle case che prima il sindaco Antonio Mancini e poi il suo successore Alberto Casalini, entrambi Dc, diedero loro tra gli anni Sessanta e i Settanta in nome di un'integrazione che non è ancora avvenuta.
LA DROGA. Nel frattempo, però, a evolversi sono stati i traffici dei rom che da ladri di galline, da ricettatori e usurai, a metà degli anni Ottanta sono approdati alla droga che in poco tempo ha portato intere famiglie ad arricchimenti incredibili, occupandosi dell'acquisto all'ingrosso fino allo spaccio al dettaglio dello stupefacente. «Non tutti gli zingari si sono messi nella droga», precisa chi li conosce bene, «ci sono famiglie che la odiano e la evitano, ma quelli che ci si sono arricchiti si sono comprati le ville e si sono tenuti le vecchie case popolari di Rancitelli, magari acquistate per pochi soldi da chi le aveva occupate abusivamente». Una sorta di negozietto per lo spaccio al dettaglio, guadagno sicuro nel grande supermarket della droga.
SAN DONATO. Anche qui, tra le case popolari di via Aldo Moro, in via Cesano, lo spaccio avviene, e non solo per mano degli zingari, che ci sono ma non come a Rancitelli. Questo perché, al momento del loro insediamento, i rom a San Donato trovarono anche le famiglie della malavita locale. Famiglie abituate a comandare e che, senza scontri e senza faide, di fatto limitarono la presenza dei rom.
FONTANELLE E ZANNI. È stata la stessa presenza dei cosiddetti «civili» a limitare la presenza delle famiglie rom a Zanni (dove non arrivano a riempire le dita di una mano) e a Fontanelle, in via Caduti per Servizio: questo perché in entrambi i casi si tratta di complessi di edilizia residenziale realizzati più tardi, dove la maggioranza delle case è stata assegnata ai «non rom».
I COLLI. Sono una cinquantina i rom che vivono ai Colli. Famiglie tra le più antiche, come quella che abita nella parte alta di via Colle Marino, che in tutti questi anni si sono integrate più che altrove, avviando attività e inserendosi nel mondo del lavoro. Merito anche di qualche matrimonio misto, che ha portato soprattutto le nuove generazioni a continuare gli studi. «C'è qualcuno che vive di espedienti, truffa, un po' di usura», dice un altro investigatore, «ma ai Colli non si spaccia, chi fa i traffici li fa altrove». Eppure ai Colli, è storia recente, proprio durante una lite tra zingari sono stati esplosi in strada alcuni colpi di pistola a salve. Ma ecco la spiegazione: «La moglie, giovane, aveva lasciato il marito ed era tornata a casa dai suoi, perché non voleva andare a rubare come le imponeva il marito, perché voleva uscire da quell'ambiente, voleva andare a scuola».
© RIPRODUZIONE RISERVATA