Pizza e arrosticini battono la crisi

I ristoratori: crollano i consumi, i clienti tagliano le porzioni per risparmiare, ma restiamo a galla grazie ai prodotti tipici

MONTESILVANO. Nell’epoca del fai da te culinario, con le famiglie che si preparano il pane a casa come ai vecchi tempi, non possono che risentirne i ristoranti. «Va male, grazie», risponde perentoriamente, ma con il sorriso sulla bocca, Paolo Marrone, 30 anni, che, con la sorella Elisa, di 4 anni più grande, gestisce dal 2009 un locale in via Manzoni che offre i prodotti tipici locali, soprattutto a base di carne: si chiama l’Abruzzorante, una crasi tra il nome della regione e l’esercizio commerciale. Poi Paolo scende nel dettaglio: «Marzo è andato bene, ma aprile si prospetta in negativo anche perché in questo mese non sono previste cerimonie. Comunque, da quando ho aperto, i turisti sono sempre di meno e le spese invece sono sempre maggiori. Ciò che ci salva», prosegue affiancato dalla sorella, «è la conduzione familiare del ristorante». Ma adesso anche i clienti che vanno ancora al ristorante, consumano di meno. «Una fiorentina», dice Elisa riferendosi alla carne, «la prendono pure, ma hanno cominciato a rinunciare al vino». «E anche al dolce», aggiunge Paolo.

E che questa penuria non sia una questione legata alle leccornie di questa terra, lo dimostra che le cose non cambiano per i prodotti esotici: «Non va più come prima», dice Francesco Lai, 31 anni, un giovane cinese del Sushi Wok in corso Umberto col suo menù a prezzo fisso. «Dall’anno scorso la clientela è scesa e chi viene spende anche di meno. Solo d’estate si lavora un po’ di più, ma poi d’inverno si scende di nuovo. Inoltre», fa poi notare il ragazzo, «io so che proprio per via della crisi molti miei connazionali stanno rimpatriando».

Il trend si rispecchia nell’ormai tradizionale ristorante-pizzeria di Antonio D’Alberto, sulla Vestina, che dal 1984 è presente sul territorio. «Noi», sottolinea il titolare di Laura, che il cinquantaduenne conduce insieme alla moglie, «anche grazie alla nostra lunga presenza abbiamo una vasta clientela e per questo riusciamo a contenere le spese e ad andare avanti. Non è che i clienti», spiega D’Alberto, «non vengano a mangiare per chissà quale motivo, legato, per esempio, alla preferenza o no di ciò che si offre. Non vengono perché hanno altre urgenze finanziarie e dovendo tagliare qualcosa, decurtano le uscite al ristorante. Le famiglie infatti non vengono a mangiare più, ma da noi si recano soprattutto le coppie di fidanzati e le squadre di calcio. Quello che ci fa ancora reggere», continua l’esercente mentre è alle prese con un impasto, «sono le pizze da asporto. E se vuole le do anche una proporzione, per far meglio intendere l’andamento attuale: qui ormai si somministra un primo piatto, ogni settanta pizze circa». Come a dire: la ristorazione è a terra. «Nello specifico, tuttavia», conclude il titolare di Laura, «la crisi s’è maggiormente acuita da gennaio di quest’anno. Dopo un Natale abbastanza buono, dal primo mese dell’anno in poi è stata impressionante la scarsità dei frequentatori. A volte, di domenica, contiamo 8, 10 persone. Mai visto».

L’antifona rimane la stessa in via Dante, a due passi dal mare, con Sandro Miserere, 47 anni, che con la moglie porta avanti da 8 anni La Locanda: «Il periodo è quello che è», rimarca Miserere, «siamo in discesa, anche se qualcosa riusciamo a fare con la pizza e gli arrosticini. Chi opta per questi prodotti, con 8, 9 euro, alla fine, può dire di essere andato a cena fuori, pur avendo speso poco. Io qui posso dire», continua il gestore, «che registro il 65% del flusso totale nel periodo che va da maggio a settembre. Se non fosse per i 3 dipendenti che ho, e che non voglio mandare a spasso per qualche mese, d’inverno chiuderei per riaprire a primavera inoltrata. Per andare più sul particolare, diciamo che l’anno scorso c’è stato un certo movimento con gli stranieri, mentre i primi tre mesi di quest’anno sono stati terribili», conclude Miserere.

La musica, si fa per dire, non cambia da Mister D, by Luciana, su viale Moro, che ha un nuovo proprietario da un anno e mezzo: «Noi qui facciamo solo pesce», fa sapere lo chef Carlo Sparano, 60 anni, che ha preso servizio nel locale dal gennaio di quest’anno, «ed è per questo che si va molto, molto a rilento. Da noi», prosegue, «c’ è stato un crollo per via delle vicissitudini passate del locale, il quale esiste da circa 15 anni e che stiamo cercando di rilanciare. Un crollo cui si aggiunge la crisi economica. In più, chi viene non fa neanche un pasto completo e chiede di norma un antipasto e un primo e rinuncia al dolce».

Identica la testimonianza sulla scelta delle portate da parte di Vasilica Mihai, 32 anni, aiuto cuoca del ristorante L’Oasi, di via Livenza, aperto dal 2003. «Chi viene, ordina di meno: spesso solo un antipasto e un primo, che a volte, com’è capitato con una coppia di anziani, si dividono in due. In aggiunta diciamo che c’è stato un cambio anche nelle ordinazioni. Chi prima, per dirne una, chiedeva degli scampi, adesso sceglie o un’orata o una spigola. Il 2011, il 2012 e l’inizio del 2013», spiega Vasilica, «sono stati i peggiori anni. A gennaio è andata male e febbraio e marzo sono stati tristissimi. Qualcosa sembra che si sia ripreso ad aprile», chiude l’aiuto cuoca con qualche legittima speranza.

Chi invece non avverte la recessione è Emilio Brighigna, 22 anni, gestore da un anno del Carpe Diem, in viale Moro. «Nonostante il momento generale negativo, noi con la pizza stiamo lavorando bene. La gente mi dice che è disposta a spendere qualche euro in più, pur di venire qui a mangiarla. Sul portale Tripadvisor», mette in rilievo con orgoglio Brighigna, «dove sono recensiti i ristoranti non stellati da chi li ha visitati, siamo al primo posto in quanto a preferenze nella città di Montesilvano. Da noi vengono da Cappelle sul Tavo, da Chieti e da altre zone limitrofe e il sabato arriviamo anche a cento persone, mentre poco meno della metà vengono il giorno successivo. D’inverno, però», termina il titolare del Carpe Diem, «sono costretto a mandare qualche dipendente a casa».

Vito de Luca

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