Polizia penitenziaria, sit in di protesta

Gli agenti lamentano le difficoltà nella gestione dei detenuti, il rischio sicurezza e l’aumento del lavoro

PESCARA. Aumento del carico di lavoro, difficoltà concrete nella gestione dei detenuti e rischi per la sicurezza. Sono questi i problemi lamentati dagli agenti della polizia penitenziaria iscritti alla Uil, che ieri mattina si sono dati appuntamento davanti ai cancelli della casa circondariale di San Donato. Al sit-in hanno partecipato i rappresentanti di tutta la Regione, uniti per protestare contro «I numeri insufficienti per l’apertura del nuovo reparto penale», prevista per il 26 gennaio.

Per mandare a regime il padiglione annesso al carcere di Pescara, secondo la normativa vigente, ci sarebbe bisogno di 50 dipendenti per sorvegliare i 200 detenuti in più che arriveranno in città facendo lievitare il numero delle persone dietro le sbarre a circa 400. Il provveditorato regionale per l’Abruzzo e il Molise aveva inizialmente previsto l’invio di sole 12 unità di polizia penitenziaria prelevate dalle carceri di tutto l’Abruzzo, già a corto di personale.

Ieri, invece, in seguito a una trattativa negli uffici dell’amministrazione penitenziaria, il vicesegretario della Uil penitenziaria Mauro Nardella, è riuscito a ottenere un piccolo aumento di personale destinato al nuovo reparto di San Donato: 24 agenti a rotazione che arriveranno nel capoluogo adriatico in regime di distacco dagli altri istituti carcerari.

«È una situazione provvisoria», spiega Nardella, «resterà invariata almeno fino a giugno, quando l’assegnazione del personale sarà ridiscussa. La speranza è di attingere dalla graduatoria nazionale per i trasferimenti, dai corsi di formazione e dai concorsi già espletati. Nel frattempo sarà aumentato il monte ore di straordinario, in modo da compensare il trasferimento».

La decisione non soddisfa gli altri agenti di polizia penitenziaria, che denunciano di trovarsi già sotto organico. «Noi svolgiamo un compito delicato», dicono Riccardo Casciato di Lanciano e Giuseppe Ventresca dell’Aquila, «all’esterno si pensa che il detenuto viene messo in carcere e poi scompare. Invece ha bisogno di attenzione e cure costanti. Secondo la legge il rapporto tra agenti e detenuti dovrebbe essere di uno a uno, una condizione che non viene rispettata in nessun carcere italiano».

Ylenia Gifuni

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