Processi senza sentenze

Inchieste Fira e Del Turco verso l’estinzione

PESCARA. Altro che stagione dei grandi processi al via. Il traguardo è già dietro l’angolo. Il ddl libera-tutti entra a gamba tesa sulle maxi inchieste abruzzesi e, con un’amnistia mascherata, si prepara a chiuderle per “manifesta mancanza di tempo”. Tre anni, termine ultimo e perentorio per il verdetto di primo grado, sono un triplo salto mortale per le indagini che hanno rivoltato l’Abruzzo, azzerato giunte regionali, mandato per aria amministrazioni comunali, scoperto un malaffare che presunto era e presunto rischia di restare.

«E’ come voler liberare con una bomba un’autostrada intasata di mezzi». La metafora di un pm di Pescara disegna contorni e obiettivi del disegno di legge - passato al Senato - sul processo breve, che impone la sentenza entro 36 mesi dalla richiesta di rinvio a giudizio per i reati con pene inferiori a 10 anni di reclusione. Così, la giustizia killer di se stessa si prepara a fare la conta delle proprie vittime illustri, le grandi inchieste.

SANITOPOLI. E’ il processo più atteso, ormai vicino alla richiesta di rinvio a giudizio e dunque al conto alla rovescia dei 3 anni, elevabili a 4 per il solo reato di concussione (punito fino a 12 anni di carcere), appiglio di un’inchiesta che rischia di essere scarnificata dalla norma in attesa solo del via libera della Camera. Quanto tempo trascorrerà tra la firma sulla richiesta di processo del procuratore Trifuoggi e dei pm Bellelli e Di Florio e la prima udienza preliminare a carico di Del Turco e Aracu? E quanto ne occorrerà per trascrivere le intercettazioni?

CICLONE. Ciclone, la maxi inchiesta sulle tangenti a Montesilvano, e Housework, quella sulla corruzione al Comune di Pescara, si sono arenate nella palude delle omesse notifiche, e sono già sacrificate sull’altare del processo breve. Ciclone toccherà i due anni a maggio e ancora deve verbalizzare migliaia di intercettazioni telefoniche e ambientali. Si riprende a marzo, il gup ha incaricato 10 periti per affrettare i tempi. Ma ormai è tardi.
Se il ddl passa così com’è alla Camera, gli ultimi 12 mesi rischiano di trasformarsi in una rappresentazione dal copione già scritto. E alla fine, quanto saranno costate quelle consulenze e l’inchiesta tutta, sapendo che la sentenza non sarà mai pronunciata?

D’ALFONSO. Il processo D’Alfonso, fissato com’è ad aprile, avrà già consumato 9 mesi quando si aprirà ufficialmente l’udienza preliminare. Percorso non dissimile per il caso relativo alla discarica di Bussi, troppo complesso e imponente per raggiungere un verdetto in tempi brevi.
Quanto alla Fira, la madre di tutte le inchieste abruzzesi, è destinata a decedere senza colpo ferire. A settembre 2012, quando già le prescrizioni lo avranno asciugato di molti reati, sarà tutto finito. Gli imputati, tra persone e società, sono 104, un numero abnorme per il processo breve. Un’altra indagine colpita e affondata.

ADDIO RISARCIMENTO. A catena, senza colpevole non ci sarà soddisfazione per le parti offese, a partire dai Comuni e da quello Stato che da una parte vuole essere risarcito e dall’altra partorisce norme stroncaprocessi. E così, il milione di euro sequestrato ai protagonisti di Ciclone dovrà tornare a Cantagallo e company, senza che l’opinione pubblica possa conoscere la verità giudiziaria sul sindaco votato con consensi da record nel 2004.
Allo stesso modo, pure soldi e immobili sequestrati agli indagati di Sanitopoli torneranno ai proprietari. Quanto alle inchieste contabili della Corte dei Conti, già lentissime normalmente, sono destinate a estinguersi come i dinosauri.

RITI ALTERNATIVI. E allora toccherà ai pm attrezzarsi. Il processo breve cambierà il modo di impostare l’udienza preliminare, spingendo i magistrati a “servire” al gup un processo già confezionato in modo da uscire più rapidamente possibile dall’imbuto dell’udienza preliminare, dove - è scontato - nessuno farà più ricorso a riti alternativi, simbolo di quella giustizia ridisegnata dal nuovo codice del 1989 che avrebbe dovuto snellire i processi. Stop a patteggiamenti e abbreviati, il tempo sarà il peggior nemico di chi indaga. Al quale, laddove sarà possibile, potrebbe convenire spezzettare in tanti piccoli procedimenti una maxi inchiesta pur di approdare al traguardo della sentenza.
Con conseguenze paradossali: applicato ai vari filoni d’indagine di Ciclone, dove gli indagati sono spesso gli stessi, avrebbe significato trascrivere identiche intercettazioni anche dieci volte, con un incredibile aumento dei costi.

CORSIE PRIVILEGIATE. Ammesso, poi, che si arrivi alla fase dibattimentale, la speranza è che il tribunale, nel dubbio, non disponga nuove perizie. Ma per non far estinguere un processo, il rischio di clamorosi abbagli giudiziari sarà più elevato. C’è chi indica la soluzione in corsie preferenziali, calendari modellati su misura dei grandi processi. Quattro udienze a settimana, suggerisce un magistrato. Roba da fantascienza, considerando che per quattro udienze di solito trascorre un anno.

E poi, chi e sulla base di quali requisiti, dovrebbe stabilire che un maxi processo merita una corsia privilegiata rispetto a un altro? E che fine farebbero, nel frattempo, le cause affidate al giudice monocratico impegnato a comporre il tribunale collegiale per portare a termine il processo “speciale”?
La giustizia rischia di frazionarsi fra cause di serie A e serie B, con ovvie strumentalizzazioni. Perché, in fondo, il problema è tutto qua: mancano risorse, giudici e cancellieri. E la legge non dà tempo al sistema di organizzarsi. «Il processo breve», è la sintesi di un altro pm, «sta per piombare su un sistema già incancrenito».