PROSIT

2 Maggio 2013

Racconto in gara per la quinta edizione del concorso letterario “Montesilvano scrive”. Clicca sui tasti di condivisione per votarlo

IL CONTEST Tutti i racconti in gara
IL REGOLAMENTOPartecipa anche tu

Non devo ma voglio.

La sottraggo con riguardo dalle altre che ammiccano su un ripiano della cantina. Con il collo sottile, uno sfilatino di corda a mò di cravatta e una copertina che l'ammanta copiosa davanti, striminzita di dietro. Quasi come una donna discinta che adesca l'ultimo cliente alla fine di una dura nottata.

Non devo ma voglio.

Mi tenta. Non è l'ora, non è il momento, ma solo passarle la mano sulla sua rotondità tenebrosa mi esalta in un brivido che sa di godimento animale.

Prometto solennemente che non ne verso neanche un goccio, solamente ne assaporo la fragranza…

Mi faccio schifo da solo, sono bugiardo verso me e verso lei che colpe non ha.

Non fare lo stronzo, sai bene che non riusciresti a contenerti.

L'immortale coscienza ha sempre maledettamente ragione, mai una volta che si distragga presa da altro.

Un goccetto non fa male, piuttosto fa buon sangue!

Lo giurava con voce stentorea, il gesto ampio e lo sguardo incerto un amico fraterno suscitando ogni volta le fragorose risate dei presenti durante il banchetto che ogni mese amavamo replicare come augurio per una vita infinita.

Faticosamente eretto, con il petto gonfio, cercava la pausa ad effetto per la stoccata finale

Prosit… e giù uno scampanio di cristalli che echeggiava rinforzato da innumerevoli bis.

Morì di cirrosi prematuramente. Il goccetto per lui non era mai stato single, bensì un tormento che non aveva fine ma solo inizio.

Non devo ma voglio.

L'afferro rapace con la sinistra, agito con la destra il cavatappi argentato. La devo violare, come farebbe il pescatore con una cozza appena ghermita allo scoglio. Provo vergogna, il tormento del peccatore che sa di trasgredire assaporando la gioia che il Demone subdolamente gli offre. Ma di quale crimine stò vaneggiando? Mi scuoto, mi ricordo di essere maschio prima che uomo.

Con rabbia penetro il sughero con il ferro uncinato: fa resistenza, raddoppio lo sforzo. Lo schiocco della resa mi dà vigore, le narici si gonfiano, le labbra fremono intorno alla lingua che fa capolino avida e puntuta. Stringo il trofeo ispessito del mio sudore, mi destreggio con un calice dal gambo anoressico. Inclino il vetro e ammiro il Montepulciano che scivola denso dopo due anni di sottomissione forzosa.

Una spuma rossastra, che sa di risacca marina al tramonto, si calma non appena trova la conca che le dà riparo. E' magma ipnotico, è calore irruente, è sangue purissimo. E' un effluvio di campi assolati, di umido ottobre, di fianchi femminei che si torcono nelle gonne lunghe e increspate.

Faccio danzare tra le dita il bicchiere.

Non devo ma voglio.

Lo avvicino alle labbra. Socchiudo gli occhi come prossimo a un delirio su un seno superbo ma una mano scende sul mio polso e lo ingessa. Mi riprendo. E' la mia donna, colei che quel peccato di gola sa costruire da anni con piglio maschio e perseveranza femmina. Sfacciata devia il calice sulla sua bocca. Lo poggia sulle labbra sverniciate di rossetto, scolorite di matita, ispessite di piacere.

Le impregna nel carminio, ci sfila sopra la lingua per dare scena a ogni millimetro di carnosità.

Inappagata del mio puerile livore plana triviale sulla rigidità delle mie cosce e mi bacia inebriandomi.

Sorride felina di me imbambolato.

Sorride appagata del piacere che mi ha rubato.

Sorride sazia sapendo che sarò sempre ostaggio della sua anima rossa.

©RIPRODUZIONE RISERVATA