Quando 30 anni fa  in viale Pindaro ruggiva la Pantera 

54 giorni scanditi da eventi memorabili, come i dibattiti con Delle Piane e Pannella e il mini concerto di Bennato

PESCARA. È stato l’ultimo movimento studentesco di massa “apartitico, democratico, non violento e antifascista” che ha portato intere generazioni di universitari, da Palermo a Roma, Napoli e Bologna, a identificarsi sotto l’icona inafferrabile e ruggente della Pantera. Un’eredità lunga trent’anni, da quel lontano pomeriggio del 23 gennaio del 1990 che a Pescara ha dato inizio all’occupazione per 54 giorni del polo di viale Pindaro della D’Annunzio. Simbolo della protesta studentesca degli anni Novanta e della ferma opposizione alla privatizzazione degli atenei italiani, attraverso il finanziamento privato delle ricerche e l’ingresso delle aziende nei consigli di amministrazione voluto dall’allora ministro Ruberti, il movimento della Pantera in un’annata segnata dallo scoppio della guerra del Golfo e dalla riunificazione delle due Germanie incarna il ribollire di una generazione di contestatori che comunica attraverso il fax e si riconosce nelle assemblee e nei seminari autogestiti organizzati nelle diverse aule universitarie. Il polo di viale Pindaro diventa il cuore della lotta in Abruzzo, sotto la spinta di migliaia di ragazzi che allora studiavano architettura, lingue o economia e che oggi sono diventati politici e docenti affermati, ma anche designer, architetti, giornalisti, vignettisti o editori.
Come Maurizio Acerbo, leader e ispiratore del movimento della Pantera in Abruzzo, all’epoca studente di scienze politiche a Teramo e coordinatore del collettivo universitario di sinistra, oggi segretario nazionale di Rifondazione comunista. O come i giornalisti Oscar Buonamano e Fabrizio Santamaita, i docenti di diritto pubblico Giampiero Di Plinio, tra i pochi a familiarizzare con gli studenti e a cercare di comprendere le ragioni della protesta, e di urbanistica Aldo Cilli, l’architetto e designer Enzo Calabrese, l’editore Roberto Sala e la consigliera regionale di parità Letizia Marinelli. Tra i protagonisti di quell’avventura anche Donatella Grosso, misteriosamente scomparsa nel luglio 1996.
«Ci fu un’assemblea lunghissima», racconta Fabrizio Santamaita, allora coordinatore a lingue, «si concluse con il voto a favore dell’occupazione che mettemmo a punto alle 17,15. Ci chiamavamo il movimento della Pantera perché in quei giorni si era diffusa la notizia di una pantera che si aggirava a Roma, libera, sulla Nomentana. Divenne il simbolo di tutta la contestazione. I docenti si sollevarono contro di noi e il rettore, Uberto Crescenti, minacciava continuamente di sgomberarci con la forza pubblica. Non lo fece mai e l’occupazione durò fino al 17 marzo, giorno di un’immensa manifestazione a Napoli con gli studenti di tutte le università italiane».
Quei giorni di protesta e di aggregazione furono scanditi da alcuni momenti salienti: dal mini concerto di fine gennaio improvvisato da Edoardo Bennato di notte, nelle aule occupate, alla manifestazione del 5 febbraio che vide sfilare migliaia di ragazzi da viale Pindaro a piazza Salotto, la mattina e il pomeriggio. E poi l’acceso incontro con Marco Pannella e quello con Carlo Delle Piane, fino alla morte dell’amatissimo ex presidente della Repubblica Sandro Pertini, celebrato con una mostra con i disegni di Andrea Pazienza. «Bennato riuscimmo a intercettarlo in camerino, al termine di un concerto al Massimo», prosegue Santamaita, «gli chiedemmo di passare in facoltà per un saluto. Non solo si presentò, ma tenne anche un piccolo show. Delle Piane arrivò una mattina in pantofole, ci parlò di cinema e cultura, ma non volle esprimersi sull’occupazione. Pannella invece non fu per nulla accondiscendente: ci disse che i motivi di fondo erano giusti, ma che ci eravamo lasciati strumentalizzare dai media. La discussione fu molto accesa e durò delle ore. Io facevo da moderatore, ma la cosa più difficile fu impedirgli di accendere la sigaretta. A un certo punto iniziò a fumare di nascosto, sotto la cattedra, e sospesi il dibattito».
Oltre alla cancellazione della riforma Ruberti, gli studenti rivendicavano il miglioramento delle condizioni didattiche alla D’Annunzio: una maggiore distribuzione degli appelli, la presenza dei docenti in facoltà negli orari di ricevimento e alcuni accorgimenti logistici. «A livello nazionale la Pantera ebbe la meglio», conclude Santamaita, «la riforma non passò. Ma nelle facoltà abruzzesi, con qualche eccezione per lingue, finita l’occupazione ci fu subito la restaurazione con repressioni piuttosto dure e nessuna concessione».
©RIPRODUZIONE RISERVATA