Quando la giustizia vorrebbe ma non può

Un’inchiesta decollata troppo tardi e penalizzata da errori iniziali di sottovalutazione
PESCARA. La giustizia che si arrende per l'ennesima volta, che vorrebbe ma non può, concentra in una pagina e mezzo il riguardo dovuto a una coppia di anziani genitori privati del patrimonio del cuore: una figlia sparita improvvisamente a 30 anni e mai più ricomparsa, quasi certamente uccisa, dissolta nel nulla nel gioco di prestigio meglio riuscito al suo ignoto carnefice. La procura di Pescara, erede forzata di un'inchiesta colpevolmente sottovalutata 16 anni fa negli uffici di Chieti, firma l'ennesima resa nella ricerca delle prove a carico dell'unico indagato per la morte di Donatella Grosso, scomparsa la notte tra il 26 e 27 luglio 1996 a bordo della Renault 5 guidata dal fidanzato. L'ho lasciata alla stazione di Pescara senza sapere dove andasse, raccontò lui - allora 24enne alle prese con due relazioni - al secondo interrogatorio dopo avere inizialmente negato di avere incontrato Donatella l’ultima sera. Ma alla stazione la ragazza non è mai arrivata. Lo ha scoperto il padre - in quei giorni d'estate del 1996 rabbioso, inavvicinabile, disperatissimo - interrogando uno a uno tutti i ferrovieri in servizio quella notte da Pescara a Roma, da Foggia ad Ancona. Sono passati 16 anni. E non è cambiato nulla. Il dazio da pagare a un'indagine mai decollata resta quello, decisivo, delle prime settimane, delle ricerche blande, delle bugie che non hanno sollevato sospetti, delle contraddizioni mai verificate, dell'auto di lui mai controllata e nel frattempo rottamata, delle intercettazioni partite troppo tardi. Perché sparire a 30 anni come Donatella è un evento che strizza l'occhio all'allontanamento volontario. Avere cavalcato questa tesi 16 anni fa è stato consequenziale. E fatale. Quando il fascicolo è passato a Pescara, la strada da percorrere si era fatta ripida come la scalata del Mont Ventoux per i corridori del Tour. L'impegno e l'abnegazione della squadra mobile di Pescara – dai dirigenti Nicola Zupo e Pierfrancesco Muriana all'ispettore Antonio Iervese che ha scavato ovunque, e non solo metaforicamente, alla ricerca dei poveri resti di Donatella – sono stati castrati dalle falle che l'inchiesta si trascina ab origine. E che pure non ha mai scoraggiato gli investigatori pescaresi, decisi a non mollare. E sempre pronti a metterci la faccia davanti a due genitori in attesa di risposte. Per scrupolo professionale, certo; per amore della verità e della giustizia, sicuro; ma anche per centrare l’obiettivo di dare pace allo strazio di mamma Tina e papà Mario, 78 e 80 anni, il viso segnato dai graffi della vita, il cuore mortificato dal trascorrere vano del tempo. E ai quali oggi - 200 mila euro e 400 mila chilometri dopo consumati a cercare brandelli di quell'unica figlia per dare un senso al dolore - quel pugno di righe a sigillo dell'ennesima richiesta di archiviazione dilata il senso di vuoto e di umiliazione che galleggia nell'anima come la zattera di una speranza naufragata.
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