Racket della prostituzione, presa la banda

Arrestato il quinto uomo dell’organizzazione criminosa romena che sfruttava le squillo alla pineta

PESCARA. Sono passati quasi undici mesi dal giorno in cui la squadra mobile di Pescara ha arrestato i suoi complici. E adesso le porte del carcere si sono aperte anche per lui, Ionel Cristea, 30 anni, romeno, latitante dal mese di gennaio, quando la polizia ha catturato il resto della banda, accusata di sfruttare giovani prostitute che lavorano tra la rotatoria di San Silvestro e la pineta dannunziana.

Solo una quindicina di giorni fa, alla fine di novembre, è stato emesso un mandato di arresto europeo nei suoi confronti, per cui sono partite le ricerche ed è stato bloccato a Pantelimon, in Romania, non lontano da Bucarest, dove si era rifugiato sapendo di rischiare molto, in Italia. Lo hanno intercettato a un posto di controllo e ora si trova in carcere e si attende che venga estradato.

Lui era l'unico a essere sfuggito all'operazione del 21 gennaio quando gli uomini della mobile, diretti da Pierfrancesco Muriana, hanno arrestato i suoi fratelli Vasilica Coman, 32 anni, e Florian Ciuraru, di 26, anni; con loro anche Chiazim Iuseim, 45, e Florentina Stefania Sin, di 25, moglie di Vasilica Coman. Sono accusati di aver messo su una banda criminale che si è resa responsabile dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, estorsione, lesioni, violenza privata e minacce. Per smantellare il gruppo, che maneggiava circa 100mila euro al mese tra le varie ragazze controllate, la polizia ha potuto contare sulla preziosa e fondamentale collaborazione di una delle giovani sfruttate dal gruppo, riuscita a sfuggire ai suoi aguzzini e a cominciare una vita diversa, anche grazie all'associazione On the road.

Lei ha visto e subìto di tutto: è stata venduta da una sua parente, in Romania, è arrivata a Pescara e si è vista portare via i documenti dagli sfruttatori, è stata buttata in strada e doveva prostituirsi anche senza preservativo per incassare di più ma, quando ha capito che di lì a poco sarebbe passata a un'altra banda, ha preso coraggio, si è allontanata mentre era al lavoro (pur essendo incinta) e ha chiesto aiuto, cominciando a collaborare con gli investigatori. Ma il clan non l'ha mollata. Anzi, è stata rintracciata e si è sentita dire che i suoi vecchi «amici» erano pronti a vendere il bambino.

Il quadro che emerge dalle indagini è di persone senza scrupoli, impegnate in una guerra violenta per il controllo del territorio e per questo in lotta con un altro gruppo criminale, affermano gli inquirenti, che ha ricostruito organigramma e metodo di lavoro e ha studiato i quaderni su cui erano appuntati i nomi delle ragazze, le spese sostenute e gli incassi. I controlli nei loro confronti erano costanti, anche se da casa andavano a piedi in zona pineta per non dare nell'occhio, e una volta rientrate le squillo dovevano consegnare il denaro guadagnato. (f.bu)

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