Ricatti a luci rosse a don Camillo, moglie e marito condannati: avevano estorto mezzo milione al parroco

Sette anni e mezzo a testa ai coniugi Eraldo e Claudia Scurti (nella foto), assolto il figlio accusato di riciclaggio. La reazione in aula di don Camillo Lancia: «Per me è la fine di un incubo durato tanti anni»
PESCARA. Arriva la sentenza di condanna per una coppia di Spoltore accusata di aver organizzato una estorsione a luci rosse ai danni dell’ex parroco di Città Sant’Angelo, don Camillo Lancia. Ieri i giudici del tribunale hanno accolto la tesi accusatoria del pm Fabiana Rapino e condannato Eraldo Scurti e sua moglie Claudia Palma D'Andrea a 7 anni e mezzo di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento danni in favore della parte offesa da quantificarsi in sede civile. Assolto invece il figlio della coppia, Alessio Scurti, che rispondeva soltanto di riciclaggio per aver monetizzato, tramite il suo conto corrente, alcuni assegni del parroco per consegnare i soldi ai genitori.
«FINE DELL’INCUBO»
«Per me è finito un incubo durato tanti anni, non posso dire altro in questo momento». Così don Camillo, visibilmente emozionato, dopo la lettura della sentenza che gli dava ragione. «È una sentenza giusta», commenta il suo avvocato Giovanni Mangia che ha chiesto un risarcimento di 700 mila euro, «che restituisce dignità a una persona che da anni vive una situazione da incubo».
LA REQUISITORIA
Incisiva la requisitoria del pubblico ministero Rapino che ha aperto la discussione così: «Di colpi di scena in questo processo ce ne sono stati tanti, ma al di là delle cifre, 500mila euro o 700mila (i soldi estorti al sacerdote ndr), al di là di tutte le prove documentali, quello che conta sono le parole della vittima il cui ruolo è quello di sacerdote, un ministro del culto che ha vissuto una grande angoscia e che è stato certamente credibile sin dall’inizio». Don Camillo si era infatuato di quella donna che era stata comunque accondiscendente con lui, come si evince dalla registrazione di un colloquio che fece lo stesso parroco. «Ha avuto», dice il pm, «una relazione intima con quella famiglia dove una donna gli prospetta un debito di 450mila euro che non sa come risolvere e quindi chiede aiuto al sacerdote, sfruttando quella evidente attrazione che il parroco aveva per lei. È stato sicuramente ingenuo», aggiunge il pm, «e si è ritrovato in qualcosa di più grande di lui che poi riuscì a denunciare. Ma resta comunque l’invito della donna ad andare a casa sua dicendogli che il marito non c’era: e lui va perché sperava in una vicinanza affettiva. Una volta in casa, la D’Andrea si toglie una calza e gli dice di spogliarsi e lo aiuta anche a levarsi la giacca, ma all’improvviso entra il marito.
IL MARITO
Il marito inizia a minacciare il parroco: “che stai facendo con mia moglie, ti ammazzo”. E il tutto rientra nella sceneggiata organizzata per estorcere soldi al parroco». E il marito, stando alla ricostruzione dell’accusa, inizia poco dopo a far capire al prete che c’è un prezzo da pagare per evitare lo scandalo «che è in embrione», afferma il pm, «c’era tutta la paura che il sacerdote poteva avere per la famiglia e per il suo ruolo».
LA PISTOLA
Poi l’episodio dell’incontro di Eraldo e don Camillo in auto, dove l’imputato fa intravedere alla parte offesa la sagoma di una pistola e gli dice: «Tu adesso comincerai a darmi i soldi». «E quella sera stessa», afferma poi il prete in sede di esame, «ho pensato di ammazzarmi».
FIUMI DI DENARO
Da quel momento ricatti continui «come una goccia cinese per evitare la diffusione di video compromettenti», dice il pm, che nessuno ha comunque trovato. Secondo l’accusa, dalle tasche di don Camillo escono fiumi di denaro, molti in contanti; vende due appartamenti per 165mila euro, chiede prestiti a tutti, fedeli compresi, che non si tirano indietro, fino al 15 luglio del 2020 quando decide di denunciare tutto.
LA DIFESA
La difesa, con gli avvocati Melania Navelli e Gianluigi Amoroso, capovolge completamente la tesi accusatoria e sostiene che la donna ha dovuto patire anni di molestie sessuali che non avrebbe denunciato perché don Camillo doveva restituire dei soldi alla coppia: tesi che non ha fatto breccia nel collegio. Per quanto riguarda l’estorsione, invece, non ci sarebbe nessuna prova agli atti a dimostrare la sua esistenza. «Ricorreremo certamente in appello», dichiara l'avvocato Navelli. «Perché crediamo che questa sentenza non sia corrispondente a quelle attività difensive che sono emerse in dibattimento. In sede di appello vedremo di far valere le nostre ragioni. E poi l’assoluzione del figlio è sintomatica di qualcosa non è andata come si aspettava l'accusa».
LA RICHIESTA DEL PM
Il pm aveva chiesto 8 anni per Scurti, 7 anni e mezzo per la moglie e 4 anni e mezzo per il figlio. I fatti risalgono a un periodo tra il 2014 e il 2020.