LO SCONTRO

Rigopiano, braccio di ferro tra avvocati 

Il legale della famiglia Feniello contro l’istanza della difesa del sindaco di Farindola di spostare l’inchiesta all’Aquila

FARINDOLA. «Sia il tecnico comunale Colangeli sia l’attuale sindaco Lacchetta erano perfettamente a conoscenza che la zona fosse a rischio e non hanno fatto nulla per evitare il disastro». È questo, in sintesi, il motivo per cui l’avvocato Camillo Graziano, legale della famiglia di Stefano Feniello, tra le 29 vittime della valanga di Rigopiano, rimarca in una memoria presentata alla Procura di Pescara, che «il giudice competente è il giudice di Pescara, luogo dove si è verificato l’evento».
Nessun conflitto di competenza dunque, come ipotizzato invece nell’istanza presentata dalla difesa del sindaco Ilario Lacchetta e del tecnico Enrico Colangeli, affinché l’inchiesta fosse trasferita per competenza alla Procura dell’Aquila. Motivata dal fatto che il reato più grave ipotizzato, quello di disastro doloso (e non colposo secondo i legali), fosse da attribuire alla Regione in quanto le condotte più gravi si sarebbero verificate proprio negli uffici aquilani dell’ente. Dove, nonostante lo prevedesse la legge, e una delibera di giunta lo imponesse, non è mai stata redatta la Carta di localizzazione dei pericoli valanghivi che avrebbe evidenziato la zona di Rigopiano.
Una tesi circostanziata dalle perizie degli esperti incaricati dagli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri, ma che il collega Graziano contesta e motiva in tre pagine. Tre cartelle in cui l’avvocato mira a dimostrare che il sindaco e il tecnico comunale non potevano non sapere che quella era una zona valanghiva. E nonostante questo, non hanno fatto nulla per evitare il disastro che ne è conseguito il 18 gennaio.
«È evidente che la Regione abbia delle chiare responsabilità e il fatto che non sia stata adottata la Carta delle valanghe è un dato incontrovertibile. Ciò che non è, però, condivisibile, è che le responsabilità siano esclusivamente dell’ente regionale». L’avvocato Graziano tira fuori il Prg di Farindola, «in discussione da oltre venti anni e mai approvato» e la questione della commissione valanghe dismessa nel 2006, «nei cui verbali vi sono chiari riferimenti alla zona di Rigopiano e al rischio cui è sottoposta per la possibilità di valanghe».
Scrive dunque Graziano: «Proprio Lacchetta il 21 dicembre 2013 venne nominato vice sindaco e assessore con delega, tra le altre, al Prg. Proprio in virtù di tale delega, Lacchetta non poteva ignorare tali importanti indicazioni circa il territorio di Farindola e il pericolo valanghe. Eppure, nonostante tali conoscenze, nonostante la grave situazione meteorologica che aveva interessato il suo Comune, le comunicazioni regolarmente ricevute in ordine ai bollettini meteo e all’allerta valanghe diramata dal servizi Meteomont, la impraticabilità della strada che conduceva a Rigopiano, la concreta possibilità che gli ospiti dell’hotel rimanessero bloccati a causa della neve come già accaduto in passato, il sindaco nulla ha fatto per evitare il disastro. Al contrario, ha consentito alla struttura alberghiera di rimanere aperta in quei giorni. È evidente quindi», sottolinea il legale, «che le responsabilità per tale tipo di reato vadano distribuite, secondo quanto di competenza, tanto alla Regione Abruzzo quanto al sindaco di Farindola e al tecnico comunale». E quindi conclude: «Il reato di disastro è da imputare a più persone in concorso tra loro, anche se hanno agito con condotte indipendenti, dando così vita a una ipotesi di connessione dei procedimenti. Se le omissioni della Regione sono state commesse all’Aquila, quelle del sindaco e del tecnico comunale sono state commesse a Farindola. Pertanto, il giudice competente è il giudice di Pescara, dove si è verificato l’evento».
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