Riviera, il Comune blocca il rudere e riapre lo scontro in tribunale

L’assessore Santavenere annuncia un nuovo ricorso al Consiglio di stato e avverte il proprietario «Respingeremo tutti i progetti presentati per sanare le irregolarità del palazzo alto sette piani»

PESCARA. Il Comune riapre lo scontro sul rudere della riviera nord. Ieri, l’assessore Sandra Santavenere ha preannunciato un ricorso davanti al Consiglio di Stato per contestare la recente sentenza del Tar che ha annullato l’ordinanza di demolizione e ha riaperto la possibilità al proprietario Enzo Tintorelli, tramite la sua società Immobiliare Michelangelo, di poter sanare le irregolarità presentando un nuovo progetto. In proposito, l’assessore ha assicurato che gli uffici dell’ente respingeranno qualsiasi progetto. Insomma, la telenovela è destinata ad andare ancora avanti. Mentre i residenti confinanti continuano a percepire migliaia di euro dal Comune a titolo di risarcimento per il fatto che il rudere deturpa la visuale della riviera.

La storia di questo palazzo comincia all’incirca quindici anni fa. Doveva essere realizzato un edificio di sette piani, a pochi passi dalla rotonda Paolucci, in viale della Riviera 191. Ma di quell’immobile è stato realizzato solo lo scheletro. I cittadini residenti degli edifici confinanti hanno cominciato a presentare degli esposti al Tar e sulla base di questi i giudici hanno annullato ben tre concessioni edilizie, quelle rilasciate dal Comune nel 1999, nel 2001 e nel 2002, riscontrando diverse irregolarità, una di queste lo sconfinamento del manufatto nell’area demaniale per circa 370 metri quadrati.

È partita così una lunga serie di battaglie legali che ha portato ad una sentenza del Consiglio di Stato. Sentenza con cui si invitava il Comune a provvedere al più presto all’abbattimento dello scheletro.

La prima procedura di demolizione è stata avviata dall’allora sindaco Luciano D’Alfonso, nel giugno del 2008, ma quel provvedimento è stato poi annullato. Negli anni scorsi, è stata fatta una seconda ordinanza, ma è stata anche questa annullata dalla sentenza del Tar dell’ottobre scorso, perché è stato riscontrato un errore formale. «In via preliminare», hanno scritto nella sentenza i giudici del Tar, «va esaminata l’opzione “demo-ripristinatoria” esercitata dall’amministrazione, ponendo nell’atto l’avvertenza acquisitiva del manufatto e del terreno, a seguito della demolizione e della remissione in pristino. Essa è una determinazione illegittima, poiché normativamente è possibile la sola “restituzione in pristino” e nessuna acquisizione». E ancora: «L’articolo 38 del decreto del presidente della Repubblica 380/2001, anche in ipotesi di demolizione integrale del manufatto abusivo, non prevede alcuna appropriazione dell’area di sedime». L’assessore ha tuttavia escluso l’emanazione di una nuova ordinanza di demolizione.

©RIPRODUZIONE RISERVATA