Sequestrati case e conti correnti agli indagati

Sigilli a due palazzi di Chiavaroli, a un milione di euro e ai soldi di Cantagallo

MONTESILVANO. Il profitto della corruzione è finito sotto sequestro. Dopo gli arresti, dopo il sequestro delle presunte tangenti, l’operazione Ciclone colpisce i beni degli imprenditori. Vengono messe sotto chiave le somme che le aziende indagate avrebbero guadagnato pagando i politici: denaro risparmiato sulle opere realizzate, o surplus di valore sugli edifici costruiti. «Per la prima volta vengono aggrediti i patrimoni, la legge che viene utilizzata per gli zingari viene estesa a tutti».

 A più di un anno dall’arresto del sindaco Enzo Cantagallo, l’evento che il 15 novembre 2006 rivelò con una deflagrazione l’esistenza dell’ inchiesta coordinata dal procuratore capo Nicola Trifuoggi e dal pm Gennaro Varone, per il capo della squadra Mobile Nicola Zupo è questo l’atto più importante dello scandalo che ha spazzato via una generazione di politici e dirigenti, mettendo sotto accusa una intera classe imprenditoriale.

Finiscono sotto sequestro preventivo somme pari a 1,3 milioni di euro, con provvedimenti a carico di otto indagati, notificati ieri mattina. Di questi, oltre 400 mila sono rappresentati dalla polizza vita accesa da Cantagallo attraverso la madre presso la Montepaschi Life Ltd con sede a Dublino. In via D’Agnese, sigilli a due palazzi di sette piani non ancora completati di proprietà della Alet, società di Enio Chiavaroli, opere edili e cantiere del Pue 400, dove l’impresa avrebbe ricevuto un indebito aumento di cubatura pari a circa 12 mila metri cubi, con un vantaggio pari a 1.377.000 euro.

 Con l’ordinanza firmata il 9 gennaio dal giudice per le indagini preliminari Luca De Ninis, scattano misure a carico dell’ex assessore all’Urbanistica Attilio Vallescura per 57.343 euro; della Prisma costruzioni e della Cdc costruzioni (rappresentate da Alessio Carletti e gestite dal socio Giuseppe Di Pietro) per 150 mila euro; di Rolando Canale, ex dirigente comunale, per 40.847 euro; di Vincenzo Cirone, ex dirigente comunale, per 166.552 euro; dell’imprenditore Duilio Vincenzo Ferretti per 120 mila euro.

Duecentomila euro, infine, vengono sequestrati alla Camel srl, che fa riferimento a Vladimiro Lotorio, costruttore ed ex capogruppo della Margherita: secondo il pm le opere di urbanizzazione eseguite in alcuni casi (Pue 309) sono di valore dimezzato rispetto ai costi scomputati, mentre gran parte degli oneri scomputati non sono stati destinati a realizzare opere pubbliche, ma private, come la recinzione dei palazzi.

 «Fino a oggi è stato difficile intervenire sui patrimoni degli imprenditori perché, proprio per evitare rischi, solitamente si spogliano di ogni bene a favore delle aziende» spiega Zupo. «Oggi viene affermato per la prima volta il principio della responsabilità amministrativa delle imprese derivante da illecito penale, sancito da un decreto legislativo del 2001: una norma che consente di aggredire non solo i beni del corruttore, ma anche quelli dell’impresa che dall’opera di corruzione e truffa a danno di un ente pubblico ha tratto vantaggio».

 Non solo. Secondo il pm, infatti, limitatamente a Cantagallo, in caso di condanna si potrà provvedere alla confisca dei beni anche se non si riuscisse a dimostrarne la provenienza illecita: «Non bisognerà provare che quello che possiede è frutto di tangenti: basterà dimostrare la sproporzione tra il reddito dichiarato e i suoi beni» chiarisce Zupo. Per l’accusa è questa la condizione dell’ex sindaco, che guadagnava 2500 euro al mese, ma aveva una disponibilità di denaro enormemente maggiore.

A consentire quella che è una inversione dell’onere della prova è una norma della Finanziaria 2006 che ha esteso ai reati di corruzione una possibilità prevista finora per i reati comuni. Di qui l’assunto di Zupo: «Le leggi che valevano per gli zingari, ora valgono per tutti». Su quelle somme ha già messo una ipoteca il Comune di Montesilvano: il sindaco Pasquale Cordoma ha annunciato che l’amministrazione si costituirà parte civile nei processi «al fine di ottenere la restituzione di ciò che è stato illegittimamente sottratto alla cittadinanza».

 Dei sequestri di ieri, emblematico è quello a carico della Alet di Enio Chiavaroli, due stabili di sette piani per un totale di 85 appartamenti, 5 negozi, 29 garage, realizzate, secondo la procura, con un illegittimo aumento di cubatura e probabilmente destinate, se il teorema sarà provato, all’abbattimento. Una beffa per chi ha già pagato gli appartamenti.

Dice l’accusa che i permessi a costruire rilasciati dal Comune il 17 ottobre 2006 (un mese prima degli arresti) furono «conseguenza dell’accordo corruttivo intervenuto tra Enio Chiavaroli e Attilio Vallescura». Le concessioni edilizie, quindi, secondo il gip, «vanno ritenute giuridicamente inesistenti» e gli immobili costituiscono «corpo del reato di abuso edilizio».

Ma come lievitarono a 17.974 metri cubi, dagli iniziali 5.850 metri cubi, le dimensioni degli edifici previsti nell’ambito del Pue 400? Ottomila metri cubi, spiegano gli inquirenti, vennero spostati da un’altra zona; un ulteriore 25% venne concesso applicando, fuori dai termini previsti, un aumento di cubatura concesso a chi costruiva entro una certa data; il resto, infine, derivò dalla monetizzazione dell’area a cessione pubblica: in sostanza il Comune rivendette all’imprenditore l’area che lui stesso aveva ceduto, al prezzo modico di 39 euro a metro quadrato, rispetto a un valore reale di 100-150 euro.

 Quanto a Cantagallo, raccontano gli atti che il 23 novembre 2001 si presentò in banca con la madre e una valigetta piena di soldi, 200 milioni di lire, per accendere una polizza vita con un’assicurazione con sede in Irlanda. Al direttore avrebbe spiegato «che aveva interesse a nascondere grosse somme di denaro» per sottrarle alla moglie dalla quale si stava separando e il funzionario, comprensivo, non avrebbe mai comunicato il trasferimento di fondi all’estero in base alle norme anti-riciclaggio.

L’ex sindaco avrebbe poi versato in contanti 51 mila euro e ancora 170 mila euro nel 2002, quindi 10 mila euro in assegni emessi da Bruno Chiulli, titolare della Greenservice. Somme che sarebbero il «prezzo della corruzione».