Sevel, l’esplosione della crisi che mette paura all’Abruzzo 

Il calo di produzione fa crollare l’export e rischia di cancellare oltre mille posti di lavoro

ATESSA. Quando fu inaugurato lo stabilimento di Sevel ad Atessa, la fabbrica dei furgoni commerciali leggeri e dei record che rende all'Abruzzo il 10% del suo prodotto interno lordo, vennero a tagliare il nastro l'avvocato Gianni Agnelli e l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini. L'Avvocato disse allora che «l’economia di mercato è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per il rafforzamento della democrazia». Un pensiero che è stato riportato anche nel 2016 dall'indimenticato amministratore delegato Fiat e figlio caparbio d'Abruzzo, Sergio Marchionne, quando venne in Sevel per annunciare 700milioni di euro di investimento per il restyling del Ducato made in Val di Sangro. Oggi il tema è il calo di produzione.
LA STORIA
Erano gli anni delle sfide vinte quelli prima del Covid e prima della guerra. Nel 2015 i dipendenti fecero ben 15 giornate di straordinario. Si cominciava a parlare di aumentare i turni. «Non è solo vero che la Fiat è in questo Paese da 114 anni», aveva detto Marchionne, «è vero soprattutto il contrario. Da più di un secolo c’è il Paese dentro la Fiat». E da 41 anni c'è anche l'Abruzzo dentro Sevel. «La Sevel – creata da un prato verde, in una zona che, pur essendo ricca di bellezze naturali, veniva chiamata “la valle dei morti” perché molti giovani erano costretti ad emigrare in cerca di lavoro – aveva sottolineato il Ceo di Fiat – è riuscita a macinare un record dopo l’altro. È diventato il più grande stabilimento di veicoli commerciali in Europa, tra i più moderni ed efficienti al mondo, ed è riuscito a raggiungere un picco produttivo di oltre 250mila unità l’anno nel 2008». Nel 2009 venne la crisi del settore auto. Un periodo che in Val di Sangro fece tremare tutti con decine di saracinesche abbassate, e perfino le case in svendita. Ma per Marchionne la crisi era anche «la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché porta progressi. È nella crisi», disse ad Atessa, «che nascono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie». E chissà cosa penserebbe oggi.
SEVEL OGGI
La più grande fusione della storia del mondo automotive mondiale porta la data del 16 gennaio 2021. Poco meno di un anno fa è nato Stellantis, il quarto gruppo mondiale per numero di veicoli prodotti, dall'unione di Fca e Psa. Un matrimonio che in Sevel conoscevano ormai da più di quarant'anni. Ma, questa volta, dice Nicola Manzi, segretario generale Uilm Chieti-Pescara, «ci hanno comprato i francesi». Il peso d'oltralpe, in un'azienda che stava cambiando pelle già dagli anni dell'acquisizione di Chrysler, grazie all'intuizione di Marchionne che portò il gruppo da 2milioni di veicoli venduti nel 2008 ai 7 e passa milioni del 2018, non era preponderante come adesso. Fiat era diventata a tutti gli effetti una multinazionale, oggi Stellantis invece è un colosso mondiale. «Il primo effetto da quando sono entrati i francesi», considera Manzi, «è una più alta attenzione ai costi». Tavares, ceo di Stellantis, era noto come un tagliatore di teste. In Sevel si è temuta una fortissima contrazione dei posti di lavoro, il primo tassello, in Italia, alla voce costi. E si è cominciato, ad esempio, a ridurre le ore lavorate di aziende di pulizie industriali, a cui la fusione ha portato la cancellazione di diverse decine di posti di lavoro. «Si cerca di risparmiare sui costi di fornitura utilizzando economie di scala», spiega Manzi, «ma per abbattere le spese il nuovo gruppo è disposto anche a fare insourcing, ovvero riportare le aziende di fornitura in Italia».
LA CRISI
DELLA COMPONENTISTICA
Dallo scorso anno Sevel lotta per l'approvvigionamento delle forniture. E se da un lato con il Covid il mercato ha fatto schizzare le domande di furgoni leggeri (utilizzati per le consegne dell'e-commerce e per i delivery), dall'altro si sono registrati oltre 77 turni di sospensione produttiva e quasi 1.300 posti di lavoro persi tra pensionamenti e contratti di interinali non rinnovati. Via anche 600 trasfertisti. Nei primi 3 mesi di quest'anno Sevel ha perso 40mila furgoni, già prenotati nei concessionari e difficilmente recuperabili. «Senza questa crisi», ricorda Domenico Bologna, segretario Fim-Cisl Abruzzo e Molise, «Sevel potrebbe lavorare tutti i giorni fino a Natale». Ma non è così. Lo stabilimento uscirà martedì da un fermo produttivo con cassa integrazione di una settimana e l'estate potrebbe risultare ancora molto difficile. «Dalla Regione ci aspettiamo risposte», incalza Bologna, «soprattutto per riconvertire stabilimenti come la LFoundry per la produzione di microchip, è urgente cominciare a discutere di cosa si può fare per trattenere qui questa grande risorsa per l'Abruzzo in un momento decisivo che vede il passaggio alle energie alternative».
LE PROSPETTIVE
In un contesto in cui entro il 2035 in Europa non si venderanno più veicoli a motore endotermico, Sevel si trova a fare i conti con il futuro. La notizia dell'accordo con Toyota per realizzare, dal 2024, furgoni commerciali di grandi dimensioni ad Atessa e in Polonia, arriva come un messaggio distensivo da Stellantis. Ma si tratta di poche decine di migliaia di furgoni. «Il mercato è dominato dal Ducato», incalza Manzi, «Sevel è l'unico stabilimento ex Fca che da anni ha un mercato garantito. Ma con l'avvento della produzione in Polonia di 100mila furgoni l'anno (la produzione è appena partita, ma per ora sono poche decine di pezzi), lo stabilimento di Atessa perde, di fatto, il monopolio della vendita dei veicoli commerciali in Europa. La partita, in futuro, ce la giochiamo sulla possibilità di abbattere i costi e sull'indubbia e storica professionalità acquisita dai nostri dipendenti. E servono investimenti, lo stabilimento ottimizzi e migliori la produzione e il territorio si faccia trovare, a livello di infrastrutture, agguerrito e competitivo».