Suicidio assistito, 75 abruzzesi con Exit-Italia

L’associazione dà informazioni sul ricovero in Svizzera e in questi giorni ha ricevuto altre due richieste dall'Abruzzo. Il presidente Coveri: le famiglie sono lasciate sole

PESCARA. Se fino a poche settimane fa, gli iscritti abruzzesi-molisani ad Exit-Italia di Torino erano 75, «negli ultimi giorni abbiamo ricevuto due nuove iscrizioni», fa sapere Emilio Coveri, il presidente dell'associazione che si occupa esclusivamente di dare informazioni sul suicidio assistito consentito in Svizzera. «Una è di Chieti», specifica, «mentre l'altra non lo ricordo. Comunque ci hanno chiesto informazioni». Purtroppo sono richieste, queste, che non si fermano, come tra l'altro ha dimostrato la decisione di dj Fabo, pseudonimo di Fabiano Antoniani, cieco e tetraplegico, di andare a morire, l'altro ieri, in una clinica svizzera ingerendo un farmaco che, dopo aver indotto al sonno, produce un arresto cardiaco.

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Tuttavia il dolore non è soltanto di chi decide per l'extrema ratio, quando la vita diventa un peso insopportabile. Il dramma, quasi sempre, ricade sui familiari del malato, i quali spesso sono lasciati da soli dalle istituzioni. «Lo Stato, in questo senso», continua Coveri, «è latitante, mentre la situazione di chi soffre è di non poter più andare avanti, in certe condizioni. La disperazione è totale, da parte del malato, tanto che decide, in alcuni casi, di autoeliminarsi. E le famiglie», prosegue il presidente di Exit-Italia, «in tutto questo sono coinvolte». Lo stesso Coveri, di ciò, ha avuto un'esperienza diretta, poiché egli stesso ha avuto che fare con la clinica svizzera che somministra il farmaco letale. Sì, poiché Coveri è cieco, e anni fa aveva deciso di farla finita.

«Mi feci accompagnare da un amico», racconta il presidente di Exit al Centro, «ma una volta lì, dopo il colloquio preliminare con una dottoressa, e dopo un paio di sigarette fumate successivamente nel parco della clinica, decisi di non morire più». Coveri si definisce un «codardo», mentre ricorda quei momenti; ma così, evidentemente, non è. «Decisi di continuare a vivere, anche perché non potevo lasciare senza guida la mia associazione e dunque volevo continuare ad aiutare le persone che avevano bisogno. Perciò», conclude, «decisi di tornare a casa».

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