Superbonus, che fare se l’impresa decide di non finire i lavori
Le regole cambiate in corsa daranno il via ai contenziosi Ecco alcuni consigli per i cittadini che restano senza casa
PESCARA. Le regole del Superbonus cambiate in corsa costringono molte imprese alla resa o comunque a non rispettare i patti con il committente. La legge prevede dei mezzi di tutela per questi ultimi, che vanno dall’intimazione alla richiesta del risarcimento del danno per l’inadempimento. Se la ditta edile interrompe i lavori e non li termina è possibile adire le vie legali, promuovendo, se necessario, una causa civile. Di queste se ne prevedono molte.
A tal fine, il contratto sottoscritto dalle parti è senza dubbio una prova dell’obbligo che fa capo alla ditta, ma non è indispensabile. In particolare, è sufficiente qualsiasi prova documentale, ad esempio il preventivo dell’appaltatore, purché provi che i lavori siano stati affidati in un unico momento, e non in tempi diversi. Per questo, è opportuno inserire delle clausole (ne esistono di vari tipi contemplati dai formulari delle associazioni di categoria) che bilancino i rischi soprattutto quando l’esecuzione dell’opera dipende da forniture di componenti e di altre materie prime di cui l’impresa edile è costretta ad approvvigionarsi da altre imprese.
In un contratto d’appalto, gli obblighi di tipo funzionale non possono venire a mancare senza pregiudicare il contratto stesso. Nella pratica, questo significa che se il committente non paga o la ditta non esegue i lavori, la parte lesa ha il diritto di tutelarsi.
Un primo passo, che il committente potrebbe fare laddove si accorgesse che la ditta cui si è affidato non riesce a rispettare i tempi di ultimazione, è quello di sostituire l’impresa stessa. Altra strada percorribile è quella di far leva su eventuali penali incluse nel contratto di affidamento dei lavori. Penali che è consigliabile inserire sempre come clausole. Ma la spiegazione più utile si può trovare sul Codice civile.
Quando a un’impresa edile viene commissionata l’esecuzione di determinati lavori al cliente, si instaura un rapporto di fiducia tra le parti che lascia presupporre la corretta realizzazione delle opere da parte dell’imprenditore e il pagamento del corrispettivo da parte del committente. Questo significa che quando uno di questi presupposti viene meno, l’altro acquisisce il diritto di tutelarsi e di vedere riconosciuto il proprio diritto.
In questa direzione, l’articolo 1455 del Codice civile assume un ruolo di rilievo quando contempla che «il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra». Ma lo stesso articolo prevede anche l’intimazione e la diffida ad adempiere. Il committente ha quindi la facoltà di intimare in forma scritta il completamento dei lavori alla ditta.
L’intimazione deve anche contenere il termine (non inferiore a quindici giorni) oltre il quale il contratto si considera risoluto. Il rimedio principale è quindi la risoluzione del contratto, grazie alla quale il committente può non pagare all’impresa la parte rimanente non eseguita, oppure ricevere in restituzione quanto già corrisposto relativamente all’inadempimento. (u.c.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.