Vendola: «Le parole vivono nel degrado che produce isterie»

28 Maggio 2025

Il politico oggi a Pescara per il libro “Sacro queer”: «Chi ci governa non nasconde pulsioni autoritarie»

PESCARA. «Il fascismo rinasce sempre nel fango delle parole tossiche». Così dice Nichi Vendola, che il potere della parola lo ha sperimentato molte volte: come politico (attivista, deputato e poi presidente della regione Puglia per due mandati consecutivi, dal 2005 al 2015, come presidente di Sel prima e di Sinistra Italiana poi) e come poeta, nella sua carriera parallela che lo ha visto autore di raccolte come Ultimo mare e Patrie. Ultima per ordine di uscita, Sacro Queer sarà anche al centro della presentazione, oggi alle ore 18.30 al Parco Villa Sabucchi, che vedrà coinvolto lo stesso Vendola assieme al direttore del Centro Luca Telese, per l’Università di Strada, all’interno del ciclo di eventi culturali promossi dal progetto “Ku – Kulture Urbane”.

Opera intensa che intreccia lirismo e impegno civile ed esplora temi come la diversità, la spiritualità e l’uguaglianza. Soprattutto nella seconda parte della raccolta si trovano molte dediche: c’è una poesia a suo fratello, a Vladimir Luxuria, a Laura Righi, a Porpora Marcasciano. Oppure non ci sono dediche, come in Un muratore, ma ci sono le vite di altri in cui si inabissa il suo pensiero e la sua scrittura. Dall’unione di queste vite potrebbe uscire fuori un arazzo ricchissimo. Allontanandoci per guardarlo, qual è l’immagine che viene fuori?

«Quella dell’umanità incarnata in vissuti carichi di forza morale», risponde Vendola, «storie di persone che hanno faticato ad affermare il proprio diritto ad esistere e che in questa fatica hanno espresso un amore per la vita che è una grande lezione di dignità e di bellezza. Io celebro queste “strane creature” e la loro unicità, talvolta la loro favolosità, sempre la loro sacralità. Alla fine della giostra siamo tutte e tutti “strani” e la stranezza è la firma che mettiamo sul dipinto delle nostre esistenze».

Partiamo proprio dalle parole che formano il titolo. “Sacro” e “Queer”, due termini che spesso viaggiano su binari distinti. Come li ha fatti incontrare?

«Queer era l’insulto contro chi appariva, per le sue scelte di vita o per il suo abbigliamento, non conforme alla norma. Era una parola cattiva, usata per disprezzare, per discriminare, per ferire chi veniva bollato come “irregolare”. La parola che conteneva lo stigma educava alla violenza, alla caccia al diverso, all’omofobia e alla transfobia. La comunità Lgbt si è presa quella parola e l’ha trasformata in una bandiera e in una cultura. Per me è sacro l’umano in tutte le sue espressioni, quindi lo sono anche le vite queer».

Il testo è dedicato alla memoria di don Marco Bisceglia, che lei ha aiutato ad aprire l’Arcigay di Palermo.

«Don Marco le aveva in corpo tutte e due queste parole, “sacro” e “queer”: era stato un prete operaio in Francia, poi era tornato a Lavello, nella sua povera Lucania contadina, facendo della sua parrocchia un punto di riferimento delle lotte bracciantili. Quando si schierò a favore del divorzio venne messo ai margini della Chiesa. Io lo conobbi facendo il servizio civile all’Arci».

Che ricordo conserva di quella conoscenza?

«Era una figura carismatica, un uomo che coniugava fede e libertà. Fu con lui che imparai a comprendere quanto discriminare e offendere le persone, a causa della loro diversità, fosse profondamente antievangelico».

A proposito di questo, che idea si è fatto del pontificato di Papa Francesco?

«Francesco era semplicemente un uomo del Vangelo, e capisco che già questo possa essere sconvolgente per tutti i farisei e i “sepolcri imbiancati” che ammorbano il mondo. Lui ha testimoniato con coerenza la “buona novella” di un Dio che danza la vita e abbraccia l’umanità in tutta la sua fragilità. E ha chiesto al cattolicesimo di allontanarsi dalle seduzioni del potere e di farsi “Chiesa del grembiule”: quella che lava i piedi ai poveri, quella che si schiera con gli ultimi, con le “pietre di scarto”.

Perché era un fatto unico?

«In un’Italia di buffoni travestiti da clericali, che brandiscono il rosario nei comizi come fosse un’arma, lui ha ricordato l’essenza della vicenda di Gesù: «ero straniero e mi avete accolto», «ero carcerato e mi avete visitato», «ero affamato e mi avete dato da mangiare» Il Dio cannibale di Trump, di Salvini e della Meloni davvero non c’entra nulla con quella meravigliosa profezia di salvezza che Bergoglio ha saputo incarnare».

Quindi cosa si aspetta da Leone XIV?

«Penso solo che con il suo stile non potrà di certo tradire questa ispirazione incarnata da Francesco».

In queste poesie c’è tutta la libertà di una lingua che spesso nel dibattito politico, che lei conosce così bene, è costretta in etichette e formule precotte.

«Noi viviamo un evo di degrado del linguaggio, siamo prigionieri di una vera catastrofe delle parole. Le élite, non solo quelle politiche, sguazzano in una melma semantica che stimola risentimenti e rancori, che produce paure e isteria. Le parole avvelenate fanno un mondo avvelenato. Sono parole che cancellano la memoria, che falsificano il passato, che sparano alla nuca della verità storica e della conoscenza scientifica, ci predispongono ad un drammatico ritorno indietro. Il fascismo rinasce sempre nel fango delle parole tossiche».

Fa riferimento a qualcosa in particolare?

«L’estrema destra che ci governa non nasconde le proprie pulsioni autoritarie, è storicamente nemica delle libertà individuali, in ogni luogo d’Italia sta facendo a cazzotti contro i diritti delle donne e della comunità Lgbt, minaccia i diritti dei nostri figli».

E la sentenza della Corte Costituzionale di pochi giorni fa sulle famiglie composte da due mamme è una buona notizia o il segno di una classe dirigente in ritardo su battaglie che vengono anticipate dalla consulta?

«La Corte scrive sentenze che scolpiscono nel contesto storico il “diritto di avere diritti”, che esigono il rispetto del principio di eguaglianza dei cittadini, che rinnovano la missione costituzionale di tutelare la vita: in questo caso la vita dei figli delle famiglie omogenitoriali. La destra pensa di poter violare impunemente principi e valori scritti nella nostra Costituzione: scritti, vorrei ricordare, col sangue di chi combatté il nazi-fascismo».

Proprio l’immagine della madre compare nella sua raccolta ben nove volte. Ma anche questa figura, oggi, finisce per cadere vittima di quello che lei definisce nel testo il “genocidio delle parole”?

«Quelli che innalzano i loro rosari elettorali e che invocano la Madonna come idolo della loro isteria identitaria, sono gli stessi che hanno condannato a morte i poveri naufraghi affogati nelle acque di Cutro. Sono quelli che proteggono criminali, assassini, stupratori, che avremmo l’obbligo giuridico di perseguire e arrestare. Sono i complici di chi, a Gaza, sta compiendo il genocidio del popolo palestinese. Nelle loro azioni politiche non c’è nulla che profumi di Vangelo, anzi! Io, nelle mie preghiere, canto le Madonne nere del Sud, le icone dolcissime sfuggite alla persecuzione iconoclastica dell’anno Mille nell’antica Bisanzio e portate da noi in salvo e accolte dalle nostre genti. Sono Madonne profughe, migranti, fuggiasche. Non proteggono i carnefici, piangono per le vittime. Oggi forse piangono per un mondo ubriaco di disumanità».

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