Penne

Vi porto nel mondo di Brunello, il suo stile in un nuovo tempo

6 Settembre 2025

Quando segue una visione smuove anche le montagne, ha scelto Penne perché c’è il sapere che usa le mani

Se davvero vuoi capire come funziona il mondo di Brunello Cucinelli non c’è nulla di meglio di un viaggio a Solomeo, il borgo natio della moglie che – piantato come uno spillo nel cuore verde dell’Umbria contadina – è diventato la capitale del suo personalissimo Regno. Arrampicarsi su questa collina per capire la visione di un uomo, o scendere a valle per visitare la sua fabbrica neoclassica, è essenziale per capire cosa accadrà nei prossimi dieci anni nel nuovo opificio appena battezzato a Penne. Per farsi una idea di come la bottega di sartoria che il Re del Cashmere ha aperto in Abruzzo bisogna partire da quella collina umbra di mattoni di cotto e pietra.

Aneddoto. Un giorno, ero andato a fargli visita, un amico regista che era con noi ci aveva inquadrato con il suo smartphone, mentre avevamo alle spalle il colpo d’occhio delle colline incantate che circondano il paese: «Fermi così», aveva detto l’amico, «voglio inquadrarvi con questo bellissimo panorama medievale alle spalle!». Brunello lo aveva folgorato con uno dei suoi sguardi ironici: «Guarda che qui di medievale non c’è nulla. Ho dovuto comprare tutti i terreni fino alla fine dell’orizzonte per tirare giù una fila di orribili magazzini e capannoni, costruiti fra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, che sfiguravano il paesaggio. Adesso», sorrideva, «Solomeo è bello come non è mai stato».

Rimanemmo di sasso. Tornato a casa, informandomi in Comune con un dirigente di lungo corso, scoprii che secondo i calcoli della pubblica amministrazione, negli ultimi decenni, Cucinelli aveva speso quasi cinquanta milioni per comprare i lotti, demolire capannoni cadenti, per regalare quell’affaccio da quadro rinascimentale al suo sogno. Era evidente che l’imprenditore visionario aveva ceduto il passo al sognatore titanico (e un po’ folle). Appena ne ebbi l’opportunità, tuttavia, cercai una controprova, perché ero incredulo, e gli domandai: «Ma davvero potrebbe essere quella la cifra che hai speso?». Brunello era rimasto un attimo in silenzio, come per fare il conto a mente. Poi aveva risposto: «Sì, più o meno. Ma in trent’anni, mica in un giorno!!!». Come le monete del risparmio, nel salvadanaio della bellezza.

Ecco, adesso immaginate che quel borgo re-inventato, pieno di statue, targhe, biblioteche, provvisto anche di un teatro vittoriano e di un monumento alla dignità dell’uomo, non sia un capriccio ma un biglietto da visita che ci aiuta a capire come funziona l’uomo: quando segue una visione Cucinelli smuove anche le montagne e ridisegna la linea dell’orizzonte perché assomigli a quello che lui ha immaginato. Bastava leggere la bellissima intervista del nostro Pietro Lambertini, ieri, per capire che fra l’articolo 36 della Costituzione e il censimento dei cento sarti che hanno popolato la sua nuova bottega, tra la cosmogonia della giacca da uomo («Che è una cosa seria») e la visione esaustiva del Gran Sasso come fonte ispirazione per i suoi operai, l’imprenditore filosofo ha intravisto una nuova idea di futuro. Questa è la Restanza che fa rima con speranza: l’opera che reinventa un territorio spopolato per provare a costruire un nuovo destino.

Torno per un altro punto importante di racconto alla fabbrica di Solomeo: il giorno in cui l’avevo visitata per la prima volta mi ero reso conto che dentro l’atelier del cachemire umbro lavoravano più di duemila persone. Nel tempo in cui le fabbriche fordiste vivono il flagello delle casse integrazioni terminali, negli anni in cui Stellantis cancella la Fiat dall’Italia con una lenta e oscena eutanasia, capisci perché l’industria del lusso ormai è diventata la nuova manifattura italiana, forse l’ultima che sopravviverà a una terribile selezione della specie. Per anni molti hanno pensato al “fenomeno Brunello” come a un presepe meraviglioso ed effimero. E invece, nulla di più concreto, materico, novecentesco: se viaggi tra Solomeo e Penne, lungo questo nuovo meridiano del talento italiano, in una geografia dell’Italia centrale che non a caso unisce le antiche capitali del francescanesimo, capisci che questo non è il passato, non è un gioco, è un impegno che salva un frammento importante della più antica manifattura italiana e la traghetta in un nuovo millennio. L’anno scorso avevo chiesto a Brunello: «Ma perché, tra tanti luoghi possibili, hai scelto proprio Penne?». Lui mi aveva guardato un po’ stupito e mi aveva risposto: «Ma scusa, qui c’è la materia prima più importante!». I tessuti? E lui, quasi bacchettandomi: «Mannò! I sarti! Il sapere di chi usa le mani. Nessuna intelligenza artificiale potrà mai sostituire le mani, vuoi scommettere?». A Pietro Lambertini, ieri, Cucinelli ha raccontato di quando andava a Pitti «e Brioni era il Re della moda maschile!». Lui va dove c’è la memoria del saper fare.

Riapro il mio taccuino di cronista nella fabbrica di Solomeo, alla voce dettagli; colonnine firmate Cucinelli per la ricarica delle auto elettriche dei dipendenti, vetrate enormi stile industrial incastonate nella vecchia struttura di un opificio anni Sessanta, e opere d’arte neoclassiche a illuminare e abbellire i reparti, statue come se si passeggiasse ad Atene, una mensa per i lavoratori che sembra un agriturismo di prima scelta, panchine davanti alle fontane zampillanti per godersi una lunga pausa postprandiale. Alle cinque del pomeriggio, però, bisogna staccare tutto perché non si lavora più. Neanche le mail tra dirigenti si possono mandare, perché - ricorda Cucinelli - «vorrei che tutti i miei dipendenti, come mio padre dopo il lavoro contadino nei campi, avessero tempo di tornare dalla propria famiglia». Tuttavia non c’è nulla di buonista in questa pratica: «Se non puoi mandare la mail il giorno dopo devi organizzarti il lavoro in modo da mandarla in giorni prima». Cult.

Se parli con i dipendenti di Cucinelli scopri che si fanno carte false per essere assunti: orari civili, paga alta. È buffo che anche lavorare in questa azienda di lusso sia un lusso.

Se si guarda la biografia, non c’è dubbio che Brunello Cucinelli sia un vero sognatore, di quelli con testa dura. La famiglia contadina, le dita rotte dei fratelli, l’alfabetizzazione politica, cattolica libertaria e vagamente sessantottina nella sezione del Partito Socialista che fu, le foto in bianco e nero di questo ragazzo bellissimo e boccoluto. La formazione culturale eclettica, da autodidatta onnivoro.

La storia da imprenditore nasce da un’idea, letteralmente folle: creare una fornitura di cashmere colorato alla fine degli anni Settanta. Indebitarsi con padre, amici e banca per mettere insieme duemila lire, acquistare una costosissima partita del meraviglioso tessuto a quel tempo quasi solo anglosassone e beige, renderlo giallo. Gli avevo chiesto: ma perché proprio giallo? Si era messo a ridere: «Perché giallo il cashmere non esisteva!». Inutile dire che era stata venduta tutta la partita e che a ruota erano seguiti tutti i bagni cromatici immaginabili. Brunello aveva scoperto un nuovo mondo, la sua America nelle campagne dell’Italia centrale.

Nel 2011 Cucinelli è arrivato a quotare la sua azienda in borsa, una impresa che cresce del 10% l’anno. Ha iniziato a produrre completi da uomo, donna, bambino, occhiali da sole, scarpe, profumi e ora, per diletto, persino un suo vino. Ama indossare una delle sue invenzioni di stile, la giacca “un petto e mezzo” di cashmere bordeaux. Canone estetico? Scuote la testa: «Se hai un po’ di pancia non si vede».

Ecco perché noi a il Centro tifiamo per questa nuova impresa di Penne come per lo sbarco in Normandia. Qui c’è lavoro, speranza, ricchezza, soldi guadagnati in modo onesto. Senza finanza “creativa”, senza lotterie speculative. Nel mondo in cui i fondi comprano gli antichi marchi come dei cadaveri, per succhiargli le ultime gocce di sangue e di storia dalle vene, Cucinelli porta la sua narrazione che si radica nella memoria dei saperi per inventare un nuovo futuro. Ecco, se venite a visitare queste fabbriche con noi, i politici dovrebbero essere portati in gita obbligata. In cambio di crediti formativi, scoprite che non è un giochino, un esercizio di stile. È una impresa di nuova fondazione. Cucinelli sta facendo a Penne quello che ha fatto alle colline di Solomeo. Non è il restauro della nostalgia di un mondo perduto, è una viaggio di traghettamento dello stile italiano in un nuovo tempo.

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