«Vi svelo perché Matteotti venne ucciso»

29 Settembre 2024

Pescara, domani lo storico spiegherà la sua tesi sulle tangenti per il petrolio incassate dal fascismo

PESCARA. Tangenti e regime: Mauro Canali rilegge l’omicidio di Giacomo Matteotti offrendo una tesi che può aiutare a elaborare un movente rimasto irrisolto. Domani, lo storico sarà Pescara per presentare il suo libro “Il delitto Matteotti”.
L’appuntamento è alle 17, nel salone della Fondazione “Abruzzo Riforme”, in via Lungaterno Sud 76. È un’indagine storica che, nell’anno del centenario, getta una luce nuova sul fascismo e l’assassinio del deputato socialista avvenuto il 10 giugno del 1924 per opera di una squadraccia nera guidata da Amerigo Dumini.
Già professore di Storia contemporanea all’università di Camerino, Canali è considerato uno dei più importanti studiosi italiani del delitto del martire socialista. Il libro, edito da “il Mulino”, sarà al centro di un dibattito con Piero Nicola Di Girolamo, professore di Storia contemporanea all’università di Teramo.
L’opera è il frutto di una ricerca pluridecennale, quest’anno ripubblicata in una nuova edizione, in cui si sostiene la tesi dell’intreccio tra affari, corruzione e politica come movente dell’omicidio. Matteotti fu assassinato perché sapeva troppo ed era diventato più di un avversario politico scomodo per il fascismo.
Tra gli indizi che portano Canali su questa strada compare soprattutto Dumini con le sue rivelazioni. Il capo della squadraccia che quel pomeriggio di giugno del 1924, a Roma, rapì sul lungotevere Arnaldo da Breccia e, poco dopo, assassinò Matteotti, fece intendere che aveva un dossier che poteva far molto male a Benito Mussolini. Il suo ricatto ebbe effetto. Uscito dal carcere, Dumini scrisse un memoriale e lo affidò a un cliente americano di suo padre perché lo depositasse nello studio legale Martin Arnold & Hugh L. Robertson, di San Antonio, in Texas.
Così, l’assassino di Matteotti, che era toscano d’origine ma con nazionalità anche statunitense, si creò una sorta di polizza assicurativa sulla vita.
L’accordo con lo studio legale texano prevedeva che il suo memoriale venisse pubblicato nel caso gli fosse accaduto qualcosa. Quel documento andava oltre la confessione sugli esecutori del delitto perché ne rivelava il vero movente che, fino a quel momento, veniva indicato come punizione dell’avversario politico, una come tante altre che l’avevano preceduta oppure sarebbero avvenute negli anni successivi.
Dumini infatti scrisse della presenza di un dossier sul petrolio di cui si temeva la presentazione in Parlamento. La necessità di sopprimere Matteotti sarebbe nata dalla convinzione che il deputato socialista fosse venuto in possesso di “prove di certi imbrogli in cui si mescolavano in una promiscuità maleodorante e abbastanza lacrimevole un certo affare di petrolio, di borsa e di cambi in cui sembrava essere implicato perfino il fratello del capo del governo”.
Dumini forse ignorava dettagli dell’affare. Ma era abile a captare le voci in proposito che circolavano negli ambienti vicini a Mussolini. Voci che parlavano di tangenti che sarebbero state passate dalla Sinclair Oil americana al fratello di Mussolini, e alle casse del Partito nazionale fascista e di altri gerarchi, come ringraziamento per la concessione di diritti di esplorazione in Italia, e nelle colonie italiane.
È questa, in estrema sintesi, la tesi dello storico Canali.
È accertato che Matteotti ricevette dai laburisti britannici, durante il viaggio compiuto in Inghilterra poco prima del suo assassinio, una ricca documentazione sulle malversazioni petrolifere e sulla svendita dell’Italia alla compagnia americana da parte dei fascisti al governo. La Sinclair Oil agiva da paravento per il colosso Standard Oil, anch’esso americano. La Anglo-Persian Oil britannica era allarmata dalla concorrenza americana. Per questo motivo avrebbe fatto passare i documenti all’esponente socialista italiano per far fallire l’operazione.
«Matteotti tornando dall’Inghilterra aveva le prove ed era pronto a denunciare Mussolini alla Camera l’11 giugno. Si era messo in lista come uno dei primi e i giornali lo avevano riportato», dice Canali. Quando venne rapito e assassinato dalla squadraccia della Ceka, la polizia politica fascista composta in prevalenza da criminali come Dumini, il deputato socialista aveva con sé una borsa piena di documenti di cui non si seppe più nulla. Né il processo farsa, che si tenne a Chieti nel 1926, fece luce su questo aspetto sostanziale, suggestivo e misterioso. (l.c.)
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