Violentata e lasciata morire, l’8 luglio in aula 

Anna Carlini: fissato il processo in Corte d’appello a carico del principale imputato e del complice

PESCARA. È stato fissato all’8 luglio prossimo il processo in Corte d’appello all’Aquila per i due romeni accusati di aver lasciato morire Anna Carlini, 33 anni, la giovane donna affetta da disturbi psichici, dentro il tunnel della stazione ferroviaria il 30 agosto 2017, dopo averla stuprata.
Nelu Ciuraru e Robert Ciorogariu, dopo la sentenza di primo grado che aveva condannato il primo a 11 anni e mezzo di carcere per violenza carnale e omissione di soccorso, il secondo a due anni soltanto per l'omissione di soccorso, avevano proposto appello contro la decisione del collegio pescarese presieduto da Maria Michela Di Fine.
Una brutta storia che ebbe come scenario il tunnel della stazione, dove si rifugiavano i balordi e i senza tetto della città e dove capitò per caso la povera Anna. Nei motivi della condanna chiesta e ottenuta dalla pm Rosangela Di Stefano, i giudici erano stati chiari affermando che: «accertato che Ciuraru e Ciorogariu, entrambi presenti insieme alla Carlini per tutto il tempo della sua lenta agonia, erano consapevoli della gravità delle condizioni di salute della stessa, non allertando le forze di polizia o il soccorso medico, hanno consapevolmente omesso una condotta che sarebbe stata certamente idonea a evitare l'evento morte, ben avendo tutto il tempo necessario e trovandosi nelle condizioni di farlo».
Questo è il passaggio più duro e triste di questa vicenda. Anna poteva essere salvata se i due imputati, ma anche qualche altro ospite di quel tunnel che pure aveva visto la situazione e le condizioni della donna, avesse chiamato anche in forma anonima il 118. E invece il silenzio, una indifferenza che è costata la vita ad Anna.
Inutilmente i familiari della vittima, in tutte le fasi dell'istruttoria e fino alla discussione in aula, hanno cercato di far cambiare l’imputazione in omicidio. Nelle motivazioni i giudici hanno peraltro scritto che «a fronte della già ampiamente esposta valutazione della sussistenza di un elevato grado di probabilità di un intervento salvifico sulla persona della Carlini ove fossero stati allertati i soccorsi, l’istruttoria non ha, invece, offerto una ricostruzione causale alternativa, talché non può essere posto in dubbio il nesso eziologico tra l’omissione posta in essere dagli imputati e l’evento morte». Anna morì a causa di un mix di alcool e farmaci: quelle medicine che la donna assumeva per le sue condizioni psichiche. Ma certamente l’alcol le venne fatto bere in quel tunnel anche perché Anna era astemia. La sentenza pronunciata dal tribunale lo scorso 4 novembre ricostruisce, in base alle testimonianze di chi era lì quella drammatica notte, le ultime ore di vita di Anna. Il suo evidente malessere e, soprattutto, la violenza cui venne sottoposta da Ciuraru. Un testimone riconobbe Ciuraru come il violentatore, anche se la sua testimonianza, resa nel corso di un incidente probatorio, venne poi espunta per una questione tecnica. Ma a supporto dell’accusa arrivò la prova principe: l’esame genetico sulle tracce di sostanze organiche rinvenute nel corpo della vittima. Erano di Ciuraru. Il medico legale escluse però che la violenza sessuale potesse aver causato il decesso della giovane donna. Il tribunale condannò gli imputati al risarcimento danni nei confronti dei familiari che verrà deciso in sede civile, concedendo però una provvisionale di 50 mila euro per la sorella Isabella e 11 mila per le altre parti civili costituite. (m.cir.)